L'orso e il Trentino: una storia antica

L'orso e il Trentino: una storia antica

di Luigi Sardi

È l’antica storia dell’uomo e dell’orso. Di una convivenza diventata difficile nei boschi di casa nostra perché l’attuale progetto di ripopolamento è pericolosamente sfuggito al controllo. Per cercare di riprenderlo senza isterismi ma – come è ovvio – salvaguardando la specie umana, dobbiamo chiedere il permesso a Roma. A Palazzo Chigi e dintorni. Un bel colpo d’ala della nostra Autonomia. E chissà se Roma s’accorge di Trento.
L’orso è stato importato dalla Slovenia e sarebbe interessante sapere quanto ci è costato e quanto attualmente si spende a cercarlo, monitorarlo, seguirlo e indennizzare proprietari di pecore e asini sbranati e uomini feriti – ma nessun animalista si cura di quelle sofferenze – e di arnie e recinti fatti a pezzi. L’immagine dei guardaboschi armati di fucile non è un buon biglietto da visita per il turismo anche se è difficile ipotizzare un orso abbattuto: chi si prenderebbe la responsabilità di farlo?

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Nel Trentino abbiamo boschi. In Slovenia ci sono foreste. I nostri sono vocati e attrezzati per il turismo, attraversati da centinaia di sentieri percorsi da decine di escursionisti in cerca di aria pulita, fresca, visione di ogni sfumatura di verde e di fiori, di funghi e di animali, di corsi d’acqua e del mormorio del vento. E’ bello vedere lo scoiattolo, il picchio, la marmotta, il capriolo, il cervo, l’aquila, lo stambecco. Forse sarà anche entusiasmante vedere l’orso. In un incontro molto ravvicinato? E come comportarsi? Sdraiarsi e stare fermi oppure agitare il campanello o spruzzare il liquido antiorso sul muso del plantigrado? Le scuole di pensiero sono molte, contraddittorie e di dubbio successo. Se l’orso non gradisce o non capisce, ti sbrana.

In Slovenia i percorsi nelle foreste sono abbastanza rari, gli orsi vengono tenuti a distanza, relegati in luoghi dove, di sovente, viene predisposto abbondante cibo. In Bulgaria e Romania – lasciamo perdere il Canada dove il territorio è un tantino più grande dell’Italia e le foreste davvero enormi, si pratica la caccia all’orso. Dopo aver pagato una grossa cifra, un elicottero porta il cacciatore dove c’è un animale o malato, oppure pericoloso. Scortato da esperti, il cacciatore spara. Francamente non capisco il gusto che si prova uccidendo un animale, ma la somma versata appiana ogni scrupolo. Anche in Norvegia c’è l’orso e i turisti che s’avventurano in zone battute dal plantigrado sono scortati da uomini armati e se l’animale s’avvicina pericolosamente agli abitati, dopo aver imbracciato il fucile per ovvia precauzione, si narcotizza l’animale e lo si porta in luoghi molto lontani.

Nel Trentino ci sono 75 orsi. Lo ha detto un esperto. Che resta anonimo per evitarsi noie. Troppi per il nostro territorio percorso da escursionisti di ogni età, ciclisti, gente che corre a piedi, che cerca funghi, che fotografa, raccoglie legna, mirtilli, lamponi, fragole. Il pericolo c’è nonostante le grida degli animalisti, compresi quelli che urlano improperi calzando scarpe di pelle e sfoggiando borse anche quelle confezionate con pelli. Bisogna ridurre il numero degli animali. Riportandoli in Sloveniva, se li rivogliono, forse sì. Se ben pagati. Sterilizzando le femmine, comprendendo che il progetto è andato oltre misura e che il grido «all’orso» ha indotto molti a disdire prenotazioni, non salire in Bondone e in Paganella, stare lontani da altre zone divenute, o semplicemente ritenute pericolose.  
 
Storia antica quella dell’orso, bellissimo quello raffigurato nei famosi affreschi sulle stagioni nel Castello del Buonconsiglio dove lo si scorge in un bosco profondo.
«È noto che l’orso, nei secoli addietro, si estendeva a tutto il Trentino, e ve la faceva da dominatore tra gli animali della foresta. E v’erano con lui i lupi, i cervi, i daini e il cinghiale». Così si legge in «Trento con il Concilio» di Michelangelo Mariani datato 1673 che racconta l’orso nel passato remoto quando, in Rendena, «gli orsi, che v’annidiavano, si rendevano quasi familiari, segno che colà l’uomo tardò più che altrove ad insorgere contro di loro».
Poi nel 1890 il libro «L’Orso nel Trentino» di Francesco Ambrosi narra lo scontro, sempre aspro, fra l’uomo e il plantigrado nelle nostre vallate. Un curioso e interessante studio che è anche la cronaca degli incontri, mai piacevoli, fra l’orso e l’uomo.
Si comincia con l’avventura di Gianbattista Casanova di Peio che nel giugno del 1845 raccolse un orsacchiotto che stava guadando il Noce. Lo portò nel proprio maso ma l’orsa, che era sull’opposta sponda del torrente, inseguì il Casanova che riuscì, con parecchi uomini accorsi alle sue grida di aiuto, a rifugiarsi in una stalla del paese, puntellando la porta. L’orsa inferocita tentò di sfondarla. «Non riuscendo - si legge nel racconto - s’infuria, gira intorno alla cascina per trovarvi un vano, ritorna alla porta, urla terribilmente e la scuote di nuovo. I rinchiusi erano così spaventati e già meditavano di liberare il cucciolo, quando l’orsa abbandonava quel luogo richiamata dall’altro cucciolo lasciato al di là del Noce».
Ma ecco il racconto di una caccia all’orso «nella valle degli Agari, sul versante di Ospedaletto. Il 29 settembre 1824 Lorenzo Gasperini di Cinte Tesino, con altri colleghi di caccia, a forza di fucilate, scovarono un orso e Gasperini lo attese su un sentiero dirupato e solitario. Arriva l’orso, il cacciatore gli spara, ma lo ferisce soltanto. La bestia inferocita l’addenta per una gamba e lo getta giù per l’erta sino all’orlo di una rupe e poi riprende la fuga. Ma fatti pochi passi, torna indietro, afferra il cacciatore e lo lancia giù dalla rupe, facendolo precipitare al piano, dove furono raccolte le sparse membra poi sepolte nel cimitero di Ospedaletto. Come racconta don Antonio Dalmonego».

Sempre in Valsugana, Pier Antonio Salder uccise nel 1830 nella valle di Centa, sopra Caldonazzo, un grosso orso e il 20 aprile del 1854 un orso che si trovava nei boschi di Alberè «gettò uno spaventoso allarme in tutto il paese di Tenna. I boscaioli lo cacciarono, l’orso raggiunse le sponde del lago. Accorsero uomini da Castagnè e i barcaioli da San Cristoforo. L’orso si aggrappa ad una barca, ma venne finito dai colpi dei remi sulla testa e il corpo, trasportato a Pergine, venne imbalsamato dal farmacista Crescini». Nel Primiero l’ultimo orso venne ucciso nell’estate del 1842 dopo aver sbranato 20 bovini e 14 pecore a Campivelo di Imer.
Nel 1852, poco sopra Sardagna, fu ucciso l’ultimo orso «che avesse osato avvicinarsi a Trento». Invece venne ucciso un orso «a forza di archibugiate, presso Tovel, nel comune di Tenno in Anauina… pare in quella zona, che al dì d’oggi sia relegata la sede dei nostri orsi. Di là scendono fino a Molveno. Un esemplare è stato visto nel settembre del 1885. Il signor Domenico Ramponi di Carciato in val di Sole uccise negli anni fra il 1820 e il 1840 quarantanove orsi, senza contare quegli che ebbe ad ammazzare in compagnia dei suoi colleghi di caccia; Pietro Paolo Maturi di Mezzana ne aveva nel frattempo spacciati diciotto e circa trenta ne ammazzò nei dintorni di Molveno Giacomo Nicolussi, padre ottuagenario di Bonifacio, valente guida alpina. Gli orsi ammazzati attorno a Vermiglio dal 1830 in poi, sono stati trentaquattro, e poi vi sono gli orsi uccisi in val di Rendena e nelle Giudicarie da valenti cacciatori, e in specie da un uomo che va designato col titolo di Re di Genova. Questi abita la valle che dà nome al suo regno; suo palagio è la cascina Regada. In 34 anni uccise 1430 galli cedrone, 405 camosci e 20 orsi condotti alla pretura di Tione per essere esaminati e ricevere la taglia. Giulio Payer, il celebre navigatore delle regioni polari, che lo ebbe a guida esplorando il gruppo Adamello-Presanella, nel 1865 lo salutò con il nome di re e le stesse autorità politiche, nel passaporto e nel porto d’arme lo soprannominarono re di Genova» per la sua infallibile mira.
Da ricordare che il cacciatore che uccideva un orso riceveva un premio in Corone. Perché l’uccisione dell’orso ritenuto animale nocivo veniva retribuita.
Ma ecco la storia di un altro cacciatore: Giovanni Catturani di Strembo. L’11 novembre del 1881 si trovava sul Mandrone a caccia di camosci quando venne assalito da un orso, che uccide con una fucilata. Un orso proveniente dal lago di Tovel fu ammazzato il 30 ottobre 1885 alla periferia di Molveno, altri cinque vennero uccisi nel 1888 nella valle di Tovel.

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Il libro di Ambrosi racconta anche la straordinaria avventura di Marco Antonio Slanzi, funaiolo di Vermiglio. «Era al Tonale quando vide l’orso venirgli contro di lui; aveva seco il fucile, e venuto a tiro, gli manda addosso la pallata ma la bestia ferita solo leggermente, gli salta alle spalle. Egli pronto lascia cadere l’arma e abbraccia l’animale, se lo stringe titanicamente al corpo e colla sua testa premuta alla tempia dell’orso, gli impedisce l’uso dei denti. Rotola con esso giù per l’erta e così rotolando riesce a cavar di tasca un coltellaccio uccidendo l’animale. Ne uscì vittorioso» ma gravemente ferito dal terribile corpo a corpo. Nelle pagine del libro si legge: «Perse un occhio, ebbe traforato il braccio sinistro, riportò gravi ferite alla bocca e presto morì».
Nel Tesino, l’ultimo esemplare fu abbattuto nel 1824, «quando fu tagliata per intero la selva di monte Mezza» e a Torcegno, nel 1842 l’ultimo orso venne ucciso dal parroco don Agostino Avancini
La prima guerra mondiale fece sparire l’orso dalle valli trentine. Un esemplare, un’orsa con un cucciolo, comparve il 13 agosto 1986 in località Pozzi Bassi, sulle pendici della Presanella. L’orso era tornato nella valle di Sole, padrone dei boschi. Lo vide verso le 21 di quel giorno Giuseppe Nella, guardacaccia di Vermiglio, dell’Associazione Cacciatori del Trentino che raccontando l’incontro ravvicinato uomo-orso, avvertiva che il plantigrado si adatta ad ogni dieta, «ma è esigentissimo quanto a spazi liberi».
 
Gli orsi vennero tenuti prigionieri a Sardagna in una buca e a Gocciadoro in una grotta chiusa da grate di ferro. L’orrore di quella prigionia senza senso è stato documentato dal giornalista Giorgio Salomon in un cortometraggio. A Sardagna un militare in libera uscita, per dimostrare il suo coraggio, saltò nel recinto dell’orso dove venne gravemente ferito dal plantigrado. E sulla Domenica del Corriere Walter Molino disegnò l’assalto di un orso ad un gruppo di operai in val di Non. Che lo misero in fuga a sassate.

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