Quando petaloso rischia di diventare fastidioso

di Matteo Lunelli

L’iter di una qualsiasi notizia sui social network è ormai noto. Che si tratti di un evento drammatico, di una curiosità, di un decisione politica, le fasi sono, più o meno, sempre le stesse. Proviamo, con un po’ di sociologia fai da te, ad analizzare. 

La notizia prima di tutto si diffonde, rimbalza da un sito all’altro, e i social “impazziscono”: valanghe di Mi Piace, condivisioni, retweet. Qui si completa la fase 1 e tutti sanno quello che è successo. Via alla fase 2. Passata l’ondata emozionale, ecco arrivare bastian contrari e complottisti: parte la macchina del fango. Insieme alla 2 c’è, però, anche la 2 bis. Ovvero ridare la notizia, non non nuda e cruda senza criticarla (fasi 1 e 2) ma facendo sfoggio della propria genialità, spesso ironica. Qui i protagonisti sono spesso grafici, artisti, persone dotate di un grande senso dell’umorismo: non si raggiunge la massa, ma una parte. Allo stesso tempo, di pari passo, c’è la fase 2 bis bis, o bis alla seconda: i politici si impossessano della notizia, la fanno loro, la usano, fanno capire al popolino che anche loro sono sul pezzo. La fase 3 è quella in cui ci si dimentica della notizia, salvo poi ripescarla anche a distanza di mesi.

Se non vi siete annoiati e/o addormentati e avete già chiuso questo blog, ora provate ad applicare l’analisi alla notizia social della settimana. Non fate finta di niente, si tratta di petaloso. Anzi, #petaloso.

Con questo post non siamo sul pezzo, e infatti oggi, giovedì, siamo già nella fase di passaggio tra i punti 2 (bis e bis bis) e 3. Comunque. La notizia si è diffusa a macchia d’olio come descritto nella fase 1. Tutti i siti l’hanno ripresa, lottando per dare ognuno più particolari e interpretazioni. I lettori si sono gasati/commossi/eccitati e in migliaia hanno voluto mettere sulle proprie bacheche la storia dell’ottenne Matteo e della sua maestra. Poi la fase 2. I complottisti, in questo caso, non sono stati tantissimi, anche se, cercando, troverete di certo chi “Ma siamo sicuri che questo Matteo abbia 8 anni?”; “Ho saputo che la maestra fa parte del Gruppo Bilderberg”; “Ma chi paga? Ditemi chi paga?”; “Pensiamo ai vocabolari quando dei Marò non si sa più nulla”; “Sicuri che Matteo non sia straniero?”; “Ruspe!” (questa ci sta sempre, a prescindere); “L’Accademia della Crusca è controllata da Renzi”; “Mio figlio ha inventato petaloso due anni fa: soliti giornalisti giornalai, vergogna!”. Potrei andare avanti, ma preferisco fermarmi.

Se i complottisti erano appunto pochi, nella fase 2 sono emersi prepotenti i bastian contrari: “Dove andremo a finire se un bambino inventa le parole, e poi petaloso fa schifo”. Oppure: "Fiori petalosi ce ne sono pochi perché le multinazionali inquinano e ci stanno avvelenando". Forse nauseati da tante condivisioni e dal constatare che tutti sentono il bisogno di dire la propria sull'argomento del giorno, iniziamo un po’ tutti a odiare questa parola e questa storia, che inizialmente ci aveva gasati.

Poi c'è la fase 2 bis, la migliore. Varie aziende e blogger hanno ripreso in chiave di marketing o ironia la notizia. Vi proponiamo qui sotto alcune immagini (anche se rileviamo l’assordante silenzio di Ceres, solitamente al top della genialità, di Spinoza e di Lercio). Fase 2 bis bis, la peggiore. Renzi twitta: “Grazie al piccolo Matteo, grazie @AccademiaCrusca una storia bella, una parola nuova #petaloso”. A questo punto petaloso e Matteo (quello grande o quello piccolo o io?) iniziano a stare sulle petalose a molti. Ok, ora smetto. La fase 3 è iniziata. Con buona pace di tutti.

Ps: Se proprio ve lo state chiedendo, a me la storia di Matteo (quello piccolo) e della sua maestra è piaciuta molto. E pure quell’aggettivo non mi dispiace.

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