Qual è il nostro dovere?

Qual è il nostro dovere?

di Matteo Lunelli

Quando si è piccoli spesso ci si sente dire che bisogna fare quella determinata cosa perché è il nostro dovere. «Studia, così poi potrai andare a giocare»: ci viene richiesto di fare il nostro dovere e (quindi) si guadagna un diritto. Un diritto che non sarebbe tale se non si passasse da un’altra azione.
Mi pare, e spero di sbagliarmi, che sempre di più si invochino e si pretendano tanti diritti e pochissimi doveri. Si perde tempo a guardare se gli altri facciano il proprio dovere e ci si arroga il diritto di giudicarli.  Negli Stati Uniti Leroy Smith, un poliziotto nero, ha visto un anziano bianco in difficoltà e lo ha aiutato. Tutto normale? Sì. E’ questa la notizia? No. No, perché l’anziano in difficoltà era un membro del Ku Klux Klan e indossava una maglietta con una svastica. Questo cambia ogni cosa. Leroy non si è sentito in diritto di giudicarlo, ma si è sentito in dovere di aiutarlo. Nonostante tutto, quindi, ha fatto il proprio dovere.
A Roma, e in altre zone d’Italia, nei giorni scorsi sono arrivati dei profughi. In molti hanno protestato: hanno bruciato i letti, hanno lanciato pietre contro chi faceva il proprio dovere, hanno urlato non per avere dei diritti per loro, ma perché quelle persone non li avessero. Siccome ultimamente sento spesso parlare di valori cristiani, mi chiedo che fine abbiano fatto compassione, aiuto, solidarietà, carità, misericordia: sarebbe dovere di tutti applicarli, che siano rossi o neri, cattolici o atei, gay o etero. Invece ci sentiamo in diritto di essere misericordiosi con i cani abbandonati in autostrada ma non con i migranti sugli scogli, oppure di essere solidali con chi vuole diritti per i gay ma non con chi li vuole per altre persone. 
 
A Trento, due giorni fa, c’è stato un drammatico incidente nel quale due persone sono morte. Una terza è fisicamente viva ed è (lo stabilirà la giustizia) colpevole della morte di quelle due. Il dovere dei giornalisti è stato, ed è e sarà, quello di dare le notizie, spiegare cosa è successo, analizzare i perché, fornire i particolari, anche se drammatici, inquietanti, tristissimi. Il nostro dovere è questo. Anche se le richieste dei lettori, di una parte almeno, sono diverse: secondo loro dovremmo prenderci altri diritti per saziare la loro fame di vendetta. Fin dal primo istante dopo la tragedia, infatti, la richiesta è stata quella di avere nome, cognome e foto di chi aveva provocato l’incidente. Per dovere di cronaca abbiamo fornito nome e cognome, quando li abbiamo saputi. Leggendo i commenti sul sito e su Facebook (tanti sono stati cancellati e alcuni utenti bannati) in molti si sono sentiti in diritto di giudicare, di sentenziare, di apostrofare, di insultare. 
 
Qualcuno ha scritto, dopo l’eliminazione di un commento, «C’è libertà di parola, posso scrivere quello che voglio». No, mi dispiace: non è vero, non è possibile, non è giusto. La libertà di parola è un diritto che implica dei doveri. Scrivere è un diritto che implica il rispetto di alcuni doveri.  Giudicare la vita degli altri può essere un ottimo esercizio per evitare di affrontare le lacune della propria, ma non è un diritto. Un dovere, semmai, sarebbe quello di capire. Di mettersi in gioco perché alcuni episodi, che siano una manifestazione del KKK, l’incendiare dei letti o il non capire se una persona è in difficoltà, non avvengano mai più. Abbiamo il dovere (non il diritto) di condannare un episodio o un comportamento, così come abbiamo il dovere di aiutare ad affrontare un lutto. Abbiamo così tanti doveri che è già un bel casino così, senza bisogno di andare a pretendere diritti che non ci spettano.

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