La leggenda di Cristoforo e di Orsola

La leggenda di Cristoforo e di Orsola

di Lucio Gardin

Per chi ama archiviare i miei scritti, da oggi inizierò un percorso di rilettura dei grandi monumenti storici del Trentino. Volevo iniziare con Caterina Dominici ma passerò direttamente al secondo nella lista: Castel Belfort a Spormaggiore. Il castello era di proprietà del Cavaliere Cristoforo Bel-Fort, n'omenet brao, simpatico, onesto, ma soprattutto bel e fort. Cristoforo regnò in queste terre verso la metà del 1400 (che sarebbe 700, in euro 350) e viveva con la sua giovane bellissima terza consorte, Orsola.

Orsola amava il prossimo, e non solo il prossimo ma anche quello precedente. Insomma amava tutti. Diciamo che quando vedeva un letto si apriva come il Mar Rosso. Trascorreva le giornate insieme alle cortigiane a raccogliere piselli (per il minestrone lei ha sempre sostenuto), saltellando allegramente sulle pannocchie e unendosi carnalmente con tutti i passanti. Di tutt'altra pasta era invece suo marito, il Cavaliere Cristoforo, che era così brutto che spesso Orsola si confondeva chiudendo lui nella stalla e portandosi a letto il cavallo. Ma c'è chi sostiene non lo facesse per errore. Cristoforo era un cavaliere fiero e coraggioso ma ossessionato da un tarlo: che la moglie gli mettesse le corna. 

Non si sa cosa fece crescere in lui questo tarlo; ma tutti sono concordi nell'attribuire una parte di responsabilità a Babbo Natale quella volta che, sorvolando la Paganella con la sua slitta e vedendolo nel prato adiacente al castello, lo scambiò per una renna dissidente e gli intimò di unirsi subito alle altre. Ad ogni modo, per questo motivo, l'indole violenta di Cristoforo venne a manifestarsi con sempre maggior frequenza verso la povera moglie. Fino a quando la trovò insieme a suo cognato che conversava di politica. Lui le diceva «Mia cara, premesso che sulla politica ognuno la pensa come vuole, ditemi, voi preferite il maggioritario, il proporzionale, o due colpetti sul divano?». Udite quelle parole, Cristoforo tracollò definitivamente e, ormai certo del complotto ordito contro di lui, decise di uccidere Orsola. Non sapendo come farlo, si lasciò suggerire dal nome e decise di lapidarla con piccoli frutti. Naturalmente, perché un ribes o un lampone siano letali, ce ne vuole qualche tonnellata, infatti la sventurata morì di vecchiaia. E di reumatismi, sommersa da marmellata di piccoli frutti. La leggenda vuole che tra le rovine del castello ormai invase da erbe rampicanti, cespugli di nocciolo e piante di maria (che ha mes zo me cognà da Grumo), si aggiri inquietante la presenza dello spettro di Cristoforo, ancora alla ricerca delle prove del tradimento della consorte. 

Un'altra leggenda narra che ogni primavera, Sant'Orsola restituisca al Trentino tutti i piccoli frutti che ricevette dal marito.

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