I nostri giovani e l'ambiente

I nostri giovani e l'ambiente

di Alessandro Tamburini

Di danni all’ambiente, inquinamento ed emergenze climatiche sentiamo parlare da decenni, fra disperati allarmi a seguito di eventi traumatici e lunghe fasi di oblio.

Decenni in cui l’opinione pubblica è stata confusa e fuorviata dal fronteggiarsi di catastrofisti e negazionisti, gli uni a paventare un tracollo del pianeta ormai irreversibile, gli altri a sdrammatizzare, assicurando che il clima ha sempre subito trasformazioni e non è dimostrabile che quella attuale dipenda dall’agire umano.
Una contrapposizione che mettendo in campo anche studi e ricerche discordanti ha contribuito ad alimentare una miscela di scetticismo e fatalismo, facilmente traducibile in comodo alibi, da parte dei singoli individui come dei detentori del potere politico ed economico, per continuare a fare i propri comodi come se niente fosse.

Ora siamo tutti colpiti per come questo scenario ambiguo e stantio sia stato sconvolto dall’irruzione di Greta Thunberg, un’adolescente che per età e pallore, determinazione e carica emotiva, richiama alla mente l’immagine di Giovanna d’Arco, e appare futile la discussione se si tratti di un’eroina o di un personaggio mediatico, anche perché oggi una cosa implica subito l’altra. Conta piuttosto che si sia messa alla testa di un esercito di giovani e giovanissimi capaci di conquistare prima la piazza virtuale dei social media e poi quelle delle città, in Italia e nel mondo intero.

Conta la prova di carattere che ha dato nella vibrante invettiva rivolta ai grandi della terra dal palco delle Nazioni Unite, insieme alla lucidità e alla chiarezza con cui ha affermato che per affrontare il disastro ambientale, se non una soluzione, una verità inconfutabile c’è, ed è data dalla scienza. La quale scienza sembra a sua volta essersi data una scossa e aver raggiunto la quasi totale unanimità, sulla base di più solide e convergenti ricerche, nell’affermare che esiste una stretta correlazione fra le emissioni inquinanti di CO2, che hanno avuto un’accelerazione vertiginosa dagli anni ’60 a oggi, e l’aumento delle temperature che causa calamità naturali sempre più gravi e frequenti.

I Friday for future di cui Greta è diventata portabandiera vanno perciò salutati come una bella e importante novità, che ha visto coinvolta una vasta platea di ragazzi e che con la conquista delle prime pagine dei media ha dato al tema dell’emergenza climatica il riconoscimento e la centralità che merita.

Sappiamo bene come sia ancora forte la resistenza opposta da vari Stati, gli USA di Trump e il Brasile di Bolsonaro, la Russia e i subcontinenti cinese e indiano, mentre desta qualche perplessità l’approvazione entusiasta espressa quasi in toto dalle nostre Istituzioni. Il premier che dichiara di aver concesso con gioia al figlio dodicenne di aderire al suo primo sciopero, il Ministro della Pubblica Istruzione che esorta gli studenti a parteciparvi e i Presidi a giustificarne l’assenza, il Segretario del Partito Democratico che si affretta ad annunciare su Facebook congrui investimenti da parte del nuovo governo in economia verde.

Come d’incanto, tutti d’accordo, felici e innocenti, solerti nel cercare di tradurre in consenso la domanda espressa dai giovani, quando invece non dovrebbe essere così facile chiamarsi fuori da un passato di colpe e inadempienze per una classe politica così a lungo inerte, se non complice di tante non casuali sciagure, in larga misura causate dalla sudditanza alla legge del profitto, di quello sviluppo senza progresso sul quale ci aveva messo in guardia Pasolini.

Non sono tuttavia mancate alcune posizioni polemiche, da parte di chi ha rimproverato a Greta e ai ragazzi dei Friday for future scarsa preparazione e inadeguate competenze scientifiche. Fra le voci fuori dal coro si è distinta quella del filosofo Cacciari, che ha esortato i giovani a rifuggire da risposte emotive e ideologiche, a organizzare nelle scuole seminari autogestiti di discussione con gli scienziati piuttosto che scioperare. È una critica non nuova. Dal ’68 a oggi, nelle cicliche manifestazioni di piazza, sono sempre stati in minoranza i giovani informati e consapevoli rispetto alla massa di quelli che gridavano gli slogan senza afferrarne bene valore e significato, ed erano lì soprattutto per il piacere di stare insieme, uniti nell’ebbrezza di una causa comune. In più di un’occasione l’atteggiamento protestatario è diventato una posa, una moda superficiale ed estemporanea.
Ma non mi pare male se fra i tanti insulsi influencer che impazzano in Rete si fa largo una figura come quella di Greta, e ben venga anche una moda ecologista e ambientalista se può favorire e diffondere comportamenti virtuosi.

Dalla malmostosa critica di Cacciari però penso si possa ricavare anche un’indicazione utile, un importante invito allo studio e alla comprensione profonda di un problema, in questo caso quello dell’ambiente, per limitare il rischio che dopo gli slanci di istintivo entusiasmo l’ondata di protesta si riveli effimera e passeggera. Un richiamo al valore della cultura, e non solo a quella scientifica. Mi è parso emblematico il caso del bambino di un paese del foggiano che, in assenza di iniziative pubbliche, ha voluto manifestare da solo dichiarando di aver preso ispirazione da un passo del Cantico in cui Francesco d’Assisi parla di “sora nostra madre Terra”, e rifiutando l’idea che si possa avvelenare la propria madre. La letteratura è prodiga di lezioni del genere, dal mito pascoliano della Natura come misteriosa infanzia del mondo, alla catastrofe profetizzata da Svevo nell’ultimo capitolo della Coscienza di Zeno, dai libri di Mario Rigoni Stern all’apocalittico scenario in cui si muovono padre e figlio nel romanzo La strada di Cormac McCarty, per citarne solo alcune. Natura e cultura sono un binomio imprescindibile, che i giovani seguaci di Greta dovranno avere più caro possibile.

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