Emergenza Alzheimer, questione non risolta

Emergenza Alzheimer, questione non risolta

di Renzo Dori

Sta terminando il mese di settembre che per l'ottavo anno è dedicato alla demenza di Alzheimer, patologia che colpisce un numero crescente di persone non solo anziane. Sono 26 anni che l'organizzazione mondiale Alzheimer's Disease International ha sollecitato i paesi ad assumere orientamenti e decisioni a livello dei sistemi sanitari più attenti attorno a questa piaga sociale.


Sono 26 anni che si cerca di aumentare nella popolazione l'attenzione e la sensibilità nei confronti di questa malattia e sono oltre 26 anni che si sollecitano governi e settori della ricerca affinché vengano destinate risorse crescenti per individuare una terapia farmacologica risolutiva. A distanza di tanto tempo dobbiamo constatare che qualche passo importante è stato fatto sul fronte della sensibilizzazione delle varie comunità per debellare lo stigma che tale demenza porta con se, ma molto rimane ancora da fare; molto, ma non ancora in modo sufficiente, è stato investito nella ricerca farmacologica, nel tentativo di capire quale sia l'origine scatenante della malattia e quale ne sia la causa, ma attualmente senza grandi risultati.

In occasione della giornata mondiale dedicata all'Alzheimer esce annualmente anche un "Rapporto mondiale Alzheimer" curato dall'Alzheimer's Disease International e quello di quest'anno, da titolo significativo "L'atteggiamento verso la demenza", presenta dati e considerazioni molto interessanti e che vanno condivise con il maggior numero di persone e magari anche con le forze politiche che hanno responsabilità di governo della sanità pubblica.

In premessa vengono forniti e confermati dei dati circa la dimensione mondiale del fenomeno demenza e Alzheimer in particolare. Secondo le previsioni il numero delle persone con demenza è destinato a più che triplicare rispetto agli attuali 50 milioni attuali, raggiungendo 152 milioni nel prossimo 2050 (ogni 3 secondi una persona nel mondo sviluppa una forma di demenza). Sul piano economico, il costo annuo della demenza supera attualmente i mille miliardi di dollari (pari a circa 910 milioni di euro), cifra quest'ultima destinata a raddoppiare entro il 2030. In Italia le persone con demenza sono 1.241.000 (in Trentino circa 8.000) con un costo complessivo annuo per le famiglie se rapportato al dato globale pari a circa 20.000 euro (se ai costi diretti aggiungiamo quelli indiretti il CENSIS ha valutato che l'impatto economico sul sistema sanitario e sulle famiglie sale a circa 50.000 euro/anno).

Il Rapporto poi ci ricorda che la demenza risulta essere a livello globale la quinta causa di morte con un balzo statistico significativo rispetto al dato del 2000 che si fermava attorno alla quattordicesima posizione. Quest'ultimo dato sottolinea quanto la demenza, nella sua fase terminale (durata media 3 ? 5 anni e più), va a pesare in modo pesante sui sistemi sanitari dei vari paesi perché prima del decesso, come è noto a tutti, ci sono molteplici ricoveri in ospedale o in strutture specializzate.

Per la prima volta il Rapporto fornisce poi i risultati di un sondaggio effettuato in 155 paesi (compresa l'Italia) che ha visto coinvolti ben 70.000 persone fra malati di demenza, caregiver familiari, medici, operatori sanitari. L'analisi dei dati, effettuata dalla London School of Economics and Political Science (LSE), evidenzia una serie di dati in parte sconcertanti e allarmanti circa una scarsa o nulla conoscenza a livello globale della demenza e dei suoi effetti e dinamiche evolutive come malattia neurologica cronico-degenerativa. L'indagine poi mette in risalto che circa due terzi degli intervistati ritiene ancora che la demenza sia una conseguenza diretta del normale invecchiamento della persona e fra questi c'è il 62% del personale sanitario; il 25% ha la convinzione che non si possa fare nulla per prevenire la demenza; il 20% attribuisce la demenza a sfortuna e il 10% alla volontà di Dio; altro dato importante circa il 50% delle persone con demenza si sentono ignorati dal personale sanitario (medici e infermieri). Il 60% ritiene che al malato di demenza non debba essere comunicata la diagnosi e il conseguente percorso possibile di cura, discriminandolo e non considerandolo più una persona con dei diritti. Fra tanti dati preoccupanti ne esce uno anche positivo il 50% degli intervistati ritiene infatti che gli stili di vita corretti possano influire positivamente sulla riduzione del rischio di sviluppare una forma di demenza. Certo, gli atteggiamenti variano a seconda delle aree regionali/statali, alle situazioni socioeconomiche e culturali presenti nei vari territori, ma è indubbio che certe sottovalutazioni o errate opinioni sulla demenza risultano ancora molto radicate anche nella nostra opinione pubblica generando e rafforzando ancora lo stigma nei confronti di questa malattia.

Tre elementi centrali vengono ricordati dal Rapporto invitando ancora una volta i vari paesi del mondo a fare un ulteriore e più significativo sforzo da un lato destinando maggiori risorse alla ricerca per individuare un farmaco efficace che curi la demenza e in particolare quella di Alzheimer, dall'altro investire maggiori risorse nella prevenzione attraverso una campagna specifica di sostegno degli stili corretti di vita. Il nostro Istituto Superiore della Sanità ha recentemente valutato che corretti stili di vita nella popolazione potrebbero portare ad una riduzione dell'incidenza delle demenze e in particolare dell'Alzheimer pari al 30-35%, valori quest'ultimi, particolarmente significativi. Qui c'è un campo di attività tutto da definire e realizzare anche in Trentino! Infine continuare nel perseguire l'obiettivo di far crescere la consapevolezza nelle singole comunità e la conoscenza della malattia per sconfiggere lo stigma e generare elementi di maggiore solidarietà evitando la solitudine a cui troppo spesso sono condannati i malati di Alzheimer e le loro famiglie. Indirettamente poi il Rapporto ci ricorda quanto sia importante la rete dei servizi, la loro accessibilità e flessibilità, una diagnosi tempestiva nonché la presa in carico, la continuità assistenziale e l'aiuto diretto ai caregiver familiari garantendo loro veri spazi di sollievo durante il difficile compito assistenziale.
Le cose da fare sono ancora molte, ma individuando obiettivi chiari e sostenibili possiamo sicuramente migliorare la qualità della vita dei malati e di chi in famiglia se ne sta prendendo cura con tanto amore.

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