La "solidarietà" aiuta i trentini

La "solidarietà" aiuta i trentini

di Mario Raffaelli

Nel dibattito sulla cooperazione internazionale si sono contrapposte interpretazioni inconciliabili su quale sia il significato della “solidarietà”. Queste visioni diverse riflettono anche diversi stati d’animo della pubblica opinione.

Mi ha colpito, in questo senso, una lettera inviata al giornale, nella quale, con toni garbati e argomentazioni civili, si sosteneva che la “solidarietà” verso gli africani deve essere fatta prevalentemente con fondi privati perché le risorse pubbliche (dello Stato e, nel nostro caso, della Provincia) devono essere utilizzate solo “per il benessere dei cittadini”. Così come si fa “in una famiglia dove la priorità è il benessere dei suoi componenti e poi gli altri”.

Non voglio affrontare quest’affermazione mettendo in campo i valori che dovrebbero determinare le “priorità” fra esseri umani. Tanto più che stiamo parlando di cifre irrisorie se comparate all’ammontare del bilancio provinciale o nazionale. Qui m’interessa sostenere, invece, che la cooperazione internazionale, se correttamente intesa e implementata, rappresenta la sfida prioritaria per le istituzioni pubbliche proprio al fine di prendersi cura, effettivamente e in modo lungimirante, del “benessere” dei propri cittadini.

Voglio farmi capire con un esempio volutamente brutale. Se scoppia un’epidemia in una qualsiasi parte del mondo, gli Stati si mobilitano isolando e risolvendo i focolai d’infezione, per evitare il diffondersi del contagio. E nessuno, all’interno degli Stati cooperanti, si sognerebbe di contestare che questo serve, di fatto, anche a tutelare il “benessere dei propri cittadini”. Ora ciò che vale in campo sanitario dovrebbe valere anche per quanto riguarda i problemi politici, economici e sociali del nostro tempo.

Nel mondo di oggi, reso sempre più piccolo dalla globalizzazione, il lusso di essere egoisti, infatti, non è più permesso. Una volta era possibile. Non era eticamente giusto ma era possibile. Ora non più, perché quello che accade al di fuori delle nostre frontiere ha riflessi immediati (nel bene e nel male) anche all’interno del nostro paese.

Nel continente africano ci sono in questo momento ben 12 paesi attraversati da conflitti di diversa origine e intensità. La maggior parte di essi è caratterizzata anche da fattori internazionali (la cosiddetta “lotta globale al terrorismo”, competizione per le risorse, divisioni interne al mondo islamico) e tutti sono comunque fonte di conseguenze globali. Questi conflitti, infatti, producono 25 milioni di sfollati, favoriscono il proliferare dei circuiti della criminalità( legata ai traffici clandestini di armi, di droga, di esseri umani), condizionano negativamente le possibilità di sviluppo di larga parte dell’Africa.

“Cooperazione internazionale” significa anche contribuire a risolvere questi problemi non solo sul piano politico-diplomatico (cosa sulla quale i paesi occidentali sono inadempienti) ma anche attraverso un efficace aiuto allo sviluppo. Poiché solo la crescita economica, sociale e dei diritti umani (e non già le semplici repressioni militari) può aiutare la soluzione alla radice dei problemi connessi alla proliferazione dei conflitti e alla stagnazione economica.

Contribuire alla stabilità e allo sviluppo dell’Africa, quindi, non è importante solo per contenere i rischi e gli effetti negativi che da lì possono diffondersi, ma anche per costruire un futuro migliore per loro e per noi. Perché Africa attuale è un continente caratterizzato non solo da grandi criticità ma anche da altrettanto grandi opportunità.

Proprio su questo giornale, qualche mese fa, ho cercato di argomentare in maniera estesa l’esistenza di queste nuove possibilità. Mi limito oggi ad aggiungere che la previsione fatta, allora, di una rapida entrata in vigore dell’accordo storico per la creazione di un mercato continentale di libero scambio, è diventata realtà il 7 luglio scorso. Si apre, con questo, una nuova fase che può essere decisiva per gli africani e per noi. Divise da poche miglia nautiche, infatti, abbiamo da una parte l’Europa, con popolazione in costante calo che invecchia, e con mercati interni ormai saturi mentre, dall’altra, abbiamo L’Africa, con una popolazione giovane, crescente, e con un grande mercato da costruire.

La potenzialità dell’Africa è stata capita da molti. Cina, India, Turchia, paesi arabi stanno investendo molto, ma molto spesso senza tenere conto dei veri interessi reciproci. I paesi europei (e l’Europa come strumento unitario) potrebbero fare molto di più, unendo alla quantità delle risorse la qualità degli interventi. Scambi commerciali più equi, supporto per la crescita delle istituzioni locali e della società civile, investimenti per la creazione delle grandi infrastrutture d’interesse regionale e continentale, sostegno ai settori sanitari e educativi per la formazione di capitale umano. Questi sono gli interventi di cui c’è bisogno. E, per questo, è necessario il contributo di tutti: istituzioni multilaterali, nazionali, territoriali. Così come c’è bisogno sia del contributo pubblico sia di quello privato.

Non si tratta, quindi, di priorità, ma d’interdipendenza. Nel nostro mondo, ormai così piccolo, o si cresce in maniera equilibrata, e tutti insieme o, insieme, si deperisce. I grandi problemi del nostro tempo (questione sociale, ambientale, instabilità, migrazioni) sono lì a ricordarcelo ogni giorno.

Non capirlo significa fare torto non solo al nostro cuore ma anche, e soprattutto, al nostro cervello.

comments powered by Disqus