Quei banchi vuoti che ci interrogano

Quei banchi vuoti che ci interrogano

di Giovanni Ceschi

Con sorpresa ho letto l’intervento di uno dei miei alunni sull’Adige. Sorpresa per il percorso emotivo che lo ha indotto a proiettare su di sé una mia riflessione sul fallimento delle carenze formative in Trentino, riferita al sistema tutto e non certo a una singola classe o persona.

Sorpresa nel constatare il non detto che ci separava, se egli, nel momento di trasferirsi altrove, ha preferito affidare le proprie considerazioni a un organo di stampa anziché a quel dialogo personale che si era instaurato nelle nove ore settimanali passate insieme in due anni di scuola.

Sorpresa, infine, che nel contesto di una discussione su problemi generali si sia voluto conferire tale rilievo a una lettura parziale di alcuni dati, anzi a una pubblica accusa nei confronti di una persona indicata ripetutamente con nome e cognome. Se noi adulti pubblicassimo simili affermazioni ci esporremmo a rischi seri.

Quel che poi ne deriva sono fiumi di parole, opinioni e reazioni di pancia. Invece ai miei studenti cerco di insegnare che la parola è un’arma potente e pericolosa. Li avverto che ogni affermazione dev’essere soppesata sulla bilancia della razionalità e dell’onestà intellettuale. Spiego che anche i numeri vanno interpretati con cura ed onestà.
Consideriamo bene i numeri, dunque. Gabriele stesso, autore della lettera, segnala che al terzo anno del «Prati» sono giunti meno di 70 studenti rispetto ai 114 che si erano iscritti al primo. Ma Ceschi insegna in una sola delle 6 classi coinvolte: non sarà mica responsabile di 45 banchi vuoti? La diminuzione di studenti durante il biennio, nel complesso delle sezioni, è stata del 40% (16 non ammessi alla classe successiva e 29 trasferiti). Sembra quindi piuttosto irrealistico parlare di una riduzione “fisiologica” del 5%, come una collega ha suggerito in un precedente intervento. Se al «Prati» il problema esiste e riguarda tutte le sezioni (benché certo un singolo anno non faccia tendenza), è chiaro che esso va analizzato accuratamente; ma un’analisi seria non ha bisogno di inventare capri espiatori.

Veniamo alla sezione C: durante il biennio i non promossi sono stati 3, i trasferiti 6. In altre sezioni ci sono stati più alunni non promossi; in una classe più non promossi e anche più trasferiti. Nella nostra, la riduzione salta maggiormente agli occhi perché fin dall’inizio il gruppo effettivo era di soli 15 studenti. I trasferimenti in altri istituti sono avvenuti a seguito di una valutazione condivisa e serena tra le famiglie, gli insegnanti e gli studenti, alla ricerca delle alternative più confacenti alle loro caratteristiche. Nessun passaggio ad altro liceo classico, almeno fino alla scelta dell’autore della lettera, ammesso con “carenze”.
Come insegnanti non dobbiamo mai dimenticare che dietro ai numeri, si tratti di statistiche o voti, ci sono le persone. Il primo preside con cui ho lavorato ci avvertiva che «ogni banco vuoto deve interrogarci». Ricordo sempre quelle parole; e tuttora continuo a interrogarmi, caso per caso. Ma ho capito che la risposta esiste: un banco vuoto, purché sia il risultato di un discorso onesto e insieme attento a individuare il percorso formativo migliore per ogni studente, è preferibile alla comodità ipocrita di un’illusione. La scuola deve ritrovare questo coraggio della credibilità. Lo deve in primo luogo agli studenti, cui va spalancato il migliore futuro che possano guadagnarsi con l’impegno, la passione, il merito.

Tutt’e cinque gli studenti coinvolti nella lettera del loro compagno - e tutti i genitori - mi hanno scritto per informarmi che non condividono né il contenuto né la forma di quanto è stato pubblicato. Da costoro, e anche dalle famiglie di due studenti non promossi in questi due anni, sono giunti ringraziamenti per il lavoro svolto. Uno di loro ha addirittura apprezzato la decisione del Consiglio di classe, riconoscendo di non essere preparato per la classe successiva. Questi sono dati di fatto non interpretabili.

Qualche giorno fa due studentesse hanno anche voluto parlarmi di persona: è stato il dono più bello. Guardandosi in volto è più facile affrontare la verità su noi stessi e sugli altri.

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