Tornano i partiti, a partire dalla Dc

Tornano i partiti, a partire dalla Dc

di Renzo Gubert

Caro Direttore, stimola molte riflessioni il suo editoriale «Quando il futuro abita nel passato». Da giornalista de l’Adige, di venticinque anni più giovane, pensava che il “crollo della Dc” e di Mario Malossini avesse portato un futuro che non abitasse nel passato.

Glielo faceva pensare Andreotti del Patt capo del governo provinciale e il successo di Berlusconi nelle nazionali del 1994. È la prospettiva di chi guarda l’incresparsi della superficie del mare, come per professione capita ai giornalisti, ma trascura la profondità delle acque fino ai fondali. In realtà nel 1993 la Dc perse sei consiglieri su 17, ma rimase il primo partito in Trentino. Andreotti governò con la Dc perché non poteva farne a meno e per la Dc (allora ero segretario politico) cedere la presidenza della Giunta Provinciale al massimo esponente del Patt era il modo per continuare a governare il Trentino con forze politiche del popolarismo cattolico.

A livello nazionale nel 1994 la Dc nazionale, riprendendo la denominazione di Partito Popolare che aveva scelto Sturzo nel 1919, perse le elezioni a vantaggio delle due alleanze tessute da Berlusconi, ma non passarono tanti anni che Berlusconi chiese di essere ammesso in Europa nella famiglia dei partiti popolari europei. E in questi giorni un suo esponente, divenuto Presidente del Parlamento europeo nel nome del Ppe, rivendica l’alleanza con un altro partito popolare presente in regione, la Svp, motivata dai comuni valori del popolarismo.
Su altri versanti la crisi della Dc (Ppi) spaccata sulla questione “alleanze”, portò a una presenza popolare che assunse con Romano Prodi e Nino Andreatta la guida del centro-sinistra. Il Ppi di Bianco, divenuto Margherita sull’onda del successo trentino di Dellai, cercò di fondersi con il partito erede del Pci, in nome dell’Ulivo, ma non passarono molti anni per dover dichiarare che si era prodotto un amalgama mal riuscito.

Nel suo editoriale richiama un’altra “increspatura” della superficie del mare, la ricerca di superare la forma partito. Erano a suo dire i politici “più sottili”. E fa riferimento alle civiche, ma si potrebbe farlo ai movimenti basati sulle reti di comunicazione elettronica, sulla democrazia diretta pensata come sostitutiva di quella rappresentativa. Eppure, di fronte all’emergere di forme di “personalismo” supposto carismatico nella guida di movimenti e partiti, è sempre più frequente la denuncia dei rischi di tali forme di organizzazione della domanda e dell’offerta politica e si invoca l’adempimento della previsione costituzionale di una legge che garantisca la democraticità dei partiti, la dotazione da parte di essi di Statuti che garantiscano la loro natura di libera associazione per la preparazione della classe dirigente, per la sua selezione, per concorrere alla preparazione, come corpi intermedi, alle decisioni politiche e amministrative delle istituzioni democratiche. E vi sono partiti “leaderisti” che ora vantano la democraticità delle procedure congressuali e la vitalità dell’essere associazioni di persone che si trovano in nome di ideali politici. Il futuro sta nei partiti, certo aggiornati nel loro funzionamento grazie alle nuove tecniche di comunicazione, ma che non si risolvono in rapporti tra un capo e una massa di “seguaci”.

E non è un caso che nell’area popolare sia cominciato un processo riaggregativo, con una presenza simbolicamente rilevante, che pareva morta, ma che invece proprio sentenze della magistratura hanno permesso di scongelare, la Democrazia Cristiana, quella di Degasperi, Sturzo, Moro, Fanfani (e da noi di Piccoli e Kessler), della Conci e di Mott e di tanti altri. E non è un caso che Grisenti, leader di una civica, abbia stretto rapporti con partiti popolari, anche per le prossime europee. Le masse dell’acqua del mare contano più delle increspature e chi osserva la politica senza gli obblighi del giornalista se ne accorge. E se ne è accorto anche Lei, Direttore di un giornale che fu della Dc.

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