Il clima sta cambiando Diciamo no alle bugie

Clima: no alle bugie

di Lorenzo Borga

Sono passate più di due settimane dallo sciopero per il clima indetto a livello globale sull'esempio della 16enne svedese Greta Thunberg. Le manifestazioni sono state un'occasione per rimettere all'attenzione dell'opinione pubblica la questione climatica che potrebbe mettere a rischio, o compromettere in modo strutturale, l'esistenza della specie umana sul pianeta.

Il tema viene spesso trattato con indifferenza, in particolare in Italia, o con toni catastrofisti con un approccio emozionale. In qualche modo è la caratteristica anche dei discorsi di Greta, la quale seppur con il merito di risvegliare le coscienze di milioni di giovani nel mondo rischia d'altra parte di scoraggiarne altrettanti per i toni estremi e catastrofisti che utilizza nei suoi discorsi. Una valutazione dell'efficacia del suo stile comunicativo si potrà avere già nei prossimi mesi, quando in Italia e nel resto dei paesi europei verranno ripetuti gli scioperi: allora vedremo se la partecipazione rimarrà alta oppure se si è trattato della solita bolla del dibattito pubblico. 

Mettendo da parte i dubbi comunicativi, la sostanza rimane però di primaria importanza. I dati che ci forniscono i ricercatori scientifici sarebbero sufficienti per rendere prioritario un dibattito largo e razionale su questi temi, se fossero conosciuti al grande pubblico. Il cambiamento climatico è studiato da decenni dai ricercatori che concordano sul considerare l'impatto umano determinante per l'aumento delle temperature globali. Mentre c'è più incertezza sui possibili effetti che l'aumento delle temperature potrebbe determinare, come sempre accade quando si tratta di previsioni future. 

In occasioni delle manifestazioni sono ricomparsi sui social anche alcuni negazionisti del cambiamento climatico, che hanno in particolar modo citato un discorso di un autore insospettabile per supportare le loro argomentazioni. Le parole sono quelle di Carlo Rubbia, premio Nobel per la fisica nel 1984 (ma mai interessatosi di clima nei suoi studi) e senatore a vita, pronunciate proprio in Parlamento nel 2014.
Lo studioso nel video pubblicato online e tornato a circolare sostiene che la temperatura della Terra dal 2000 al 2014 non è aumentata, bensì diminuita. Non è così: i dati degli ultimi decenni, anche quelli del nuovo millennio, mostrano che la temperatura è sempre più aumentata rispetto alla media del 1951-1980, ovviamente con gradi differenti tra i continenti e gli oceani. Secondo la Nasa il 2018 è stato il quarto anno più caldo dal 1880, dopo 2017, 2016 e 2015, contribuendo alla crescita di 1 grado Celsius della temperatura media rispetto alla fine del diciannovesimo secolo. 

Come è noto, gran parte del riscaldamento globale in atto è dovuto alle attività umane. Come hanno dimostrato i modelli climatologici, tenendo conto delle sole variabili naturali i risultati non rispecchiano l'aumento della temperatura che si è verificato. In particolare le simulazioni che includono solo l'impatto naturale (cioè l'effetto dell'energia solare e dell'attività vulcanica) si discostano dalle osservazioni reali a partire dagli anni '60, provando a tutti gli effetti una determinante umana nell'aumento della temperatura globale.
L'impronta umana è dovuta in gran parte alle emissioni dei cosiddetti gas serra, soprattutto anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e ossido di diazoto (N2O), che sono aumentati rispettivamente - secondo il rapporto dell'Ipcc del 2013 - del 40%, 150% e 20% rispetto al periodo pre-industriale. 

La CO2 non è ovviamente emessa in eguali quantità attorno al globo. A livello mondiale, secondo i dati della Banca mondiale, la produzione di anidride carbonica è passata dalle 3 tonnellate pro capite del 1960 alle 5 del 2014, leggermente ridotte dal 2011. Tra i paesi avanzati la produzione è ben maggiore della media: nel 2014 le tonnellate a persona emesse ogni anno erano circa 10, mentre tra i paesi mediamente sviluppati la media raggiungeva le 6,5 tonnellate. Una differenza, quella tra paesi avanzati e in via di sviluppo, che si sta colmando nel tempo. 

La produzione di emissioni pro capite per gli Stati Uniti è perfino diminuita a partire dal 2008, mentre quella cinese è aumentata di più del 200% rispetto all'inizio del nuovo millennio. Se è dunque vero che gran parte delle responsabilità passate sono da attribuire ai paesi occidentali, che hanno inquinato l'atmosfera a partire dal 18esimo secolo, i paesi emergenti (Cina, India, Brasile) non possono permettersi di seguire lo stesso atteggiamento, per il bene del pianeta. 

Le Nazioni Unite hanno infatti stimato i possibili effetti dell'aumento della temperatura globale, che per evitare conseguenze strutturali non dovrebbe l'aumento di 1,5 gradi rispetto all'epoca pre-industriale (come già sottolineato, abbiamo già raggiunto l'aumento di 1 grado). Altrimenti, gli effetti sarebbero elevati per le barriere coralline, la pesca, l'agricoltura, la preservazione dei poli artici, gli eventi idrologici, mentre minori sarebbero i rischi per il turismo e la salute. Gli scienziati stimato che, a seconda delle previsioni e degli interventi di contrasto, la soglia di +1,5 gradi potrebbe essere raggiunta tra il 2030 e il 2052. 

I rischi sono alti e la consapevolezza è bassissima. Non è un caso che la pressione sui decisori politici, in Italia più che in Europa, sia scarsa e poco efficace su questi temi. 

Ben vengano dunque le proteste dei giovani, benché semplificatorie, per contrastare il disinteresse e la disinformazione.

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