Grazia agli anziani che hanno ucciso per amore
Grazia agli anziani che hanno ucciso per amore
Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con atti di autentica pietà (nel senso latino di «pietas» di chi prova compassione partecipando al dolore altrui) ha recentemente concesso la grazia a due anziani, Giancarlo Vergelli di 88 anni e Vitangelo Bini di 89 anni, che in un atto di autentica disperazione hanno ucciso le loro compagne di vita malate da tempo di Alzheimer.
Per tali atti erano stati condannati dal Tribunale rispettivamente a sette anni e otto mesi, e a sei anni e sei mesi di reclusione.
Queste azioni, di estrema gravità, nascono e si consumano in un «mondo» di disperazione e solitudine sopportato giorno dopo giorno a fronte di una malattia come l’Alzheimer che lentamente, progressivamente e inesorabilmente si portava via i ricordi di una vita, le emozioni e i sentimenti, financo l’essere stesso della persona amata e con la quale si erano condivise esperienze, piaceri e dispiaceri. Hanno saputo resistere per anni al progredire della malattia, per anni hanno cercato di accudire con amore la loro compagna, di sostenerla, di aiutarla anche nelle azioni più semplici della quotidianità e che lei via via perdeva.
Per anni hanno cercato un modo per mantenere viva una comunicazione verbale che diveniva sempre più povera di parole con un significato; per anni hanno tentato ogni espediente per fermare il decadimento cognitivo, la progressiva perdita di memoria. Forti dell’affetto che li legava alla moglie hanno resistito alla solitudine, al diradarsi delle amicizie, al senso di generale spaesamento e di autentica disperazione. Hanno cercato di «scavare» in quegli occhi che perdevano la vivacità di un tempo e quasi scolorivano si annebbiavano. Hanno accettato quei lunghi silenzi che riempivano l’animo di vuoto e scoramento. Alla difficoltà di comunicazione verbale, di riconoscere luoghi familiari, di riconoscere le persone, si aggiungevano i disturbi del comportamento, difficili da gestire e superare. Via via il carico assistenziale aumentava, le cose di cui occuparsi divenivano sempre più onerose e numerose, e contestualmente cresceva quel senso di non farcela più, di scoramento, di sconfitta e profonda sofferenza. L’Alzheimer inesorabilmente stava portandosi via la cosa più preziosa della propria vita, la persona con la quale si era tanto sognato e in parte anche realizzato.
Queste storie, queste sofferenze che fanno parte del vissuto di molti caregiver, nonostante il loro epilogo drammatico, non ci consentono di usare solo parole di condanna quanto piuttosto grande comprensione per la fragilità umana. Sono storie che aumentano in noi quell’umana «pietas» e la compassione che non offuscano la responsabilità e gravità dell’atto, ma riescono a trovarne una motivazione. La forza estrema di quelle azioni debbono però farci riflettere su quanto ancora oggi la figura del caregiver, di chi si prende cura di un malato di Alzheimer, sia e si senta sola ad affrontare difficoltà crescenti.
L’umana solidarietà assieme da una adeguata rete di servizi specifici dovrebbe farsi carico e alleggerire quel peso di assistenza e care che troppo spesso rischia di diventare insopportabile. Vi è una responsabilità comune quando il fardello del prendersi cura di una persona super l’umana resistenza e in quelle circostanze, una comunità consapevole, informata e sensibile, dovrebbe riuscire a mettere in moto virtuosi percorsi di aiuto. Non riuscire a mettere in atto azioni solidali ci rende giocoforza tutti corresponsabili di simili tragedie.
L’atto di grazia del Presidente Mattarella di fatto matura in questo quadro e ci richiama tutti alla propria responsabilità verso la sofferenza e la solitudine di troppe persone che sacrificano parte della loro esistenza nel prendersi cura di una persona amata. Grazie Presidente perché attraverso questi atti di generosa compassione e umana solidarietà ci ricordi, in tempi non facili, i valori veri che debbono caratterizzare ogni singola comunità.