La manovra: che Dio ce ne scampi

di Pierangelo Giovanetti

Il vero costo della manovra finanziaria, fatta votare ieri dal Senato senza che i senatori potessero nemmeno leggerla, non è il taglio radicale di ogni misura per la crescita e il lavoro, che avrà effetti pesantemente recessivi sul Paese nell’anno che sta per iniziare.

Il prezzo maggiore da pagare è l’umiliazione che l’Italia a guida sovranista ha dovuto subire, dopo mesi di inutili insulti e provocazioni nei confronti dell’Europa e degli altri Paesi, costretta a riscrivere da cima a fondo sotto dettatura di Bruxelles una finanziaria che non stava in piedi, gravandola di ingentissimi sacrifici per gli italiani negli anni a venire.
Il governo più sovranista (a parole) che la repubblica abbia mai avuto nella sua storia, ha firmato la resa svendendo la sovranità dell’Italia che, d’ora in avanti, sarà trimestralmente controllata dai funzionari europei, non fidandosi più di una classe di governo inconsistente e pericolosa per la sua vuotezza.
Non era mai successo che la finanziaria italiana fosse scritta da altri.

I precedenti governi discutevano prima con la commissione europea, si confrontavano, trovavano punti d’intesa. E poi scrivevano a Roma la finanziaria. Qui, invece, per mesi abbiamo sparato ad alzo zero sulla Ue giocando a fare i bulli e gridando «me ne frego», facendo schizzare lo spread alle stelle, crollare la borsa, precipitare i titoli di stato. E alla fine, deboli e isolati, abbiamo dovuto correre a Bruxelles in ginocchio, subire le pesanti, inevitabili condizioni, uscendone penalizzati e ridicolizzati per la figura barbina dei soliti italiani fanfaroni e inaffidabili.

Il tutto, fuori tempo massimo, costringendo il Parlamento, unico vero rappresentante della sovranità popolare, alla mortificazione di dover votare una manovra senza nemmeno conoscerla.

l di là della dannosità sui mercati e sulla credibilità italiana della prova di forza che il governo Salvini-Di Maio ha voluto ingaggiare con l’Europa solo per scopi elettoralistici e propagandistici, le conseguenze di tale guerra da sbruffoni senz’arte né parte ha determinato oneri gravosi per l’Italia dei prossimi anni.

Solo di clausole di salvaguardia dell’Iva, bisognerà tirar fuori (presumibilmente con nuove tasse) 23 miliardi già nella finanziaria 2020, che diverranno altri 29 miliardi nel 2021. Mai era stata firmata da un governo italiano una clausola così vessatoria per scongiurare l’aumento di tre punti dell’Iva. Il tutto al fine di evitare una procedura d’infrazione per debito, a cui si sapeva saremmo andati incontro, verso la quale però abbiamo fatto di tutto per provocarla.
Non fidandosi più di noi, la Commissione ha imposto due altre ponderose condizioni: un controllo ogni tre mesi della gestione italiana di bilancio (di fatto un commissariamento dell’Italia) e il blocco di ulteriori due miliardi messi da parte in un fondo di accantonamento se il governo Salvini-Di Maio farà di nuovo il furbo. La procedura d’infrazione è pertanto solo rinviata, e l’esecutivo Conte resta sotto osservazione.

Non c’è che dire: rispetto al passato, il cambiamento c’è stato. Ma in peggio. E la «sovranità italiana» è stata ancor più ridimensionata.
C’è un altro prezzo, pesantissimo, che abbiamo dovuto pagare. Questo non in termini finanziari, ma di democrazia sostanziale del Paese. Quanto è avvenuto ieri al Senato costituisce uno svuotamento senza precedenti dei poteri, della funzione e della dignità del Parlamento, a cui il popolo assegna l’esercizio della sovranità. Lo ha denunciato con forza la voce libera di Emma Bonino, sbeffeggiata da ignoranti che evidentemente non conoscono la Costituzione.

È vero che sono anni che la finanziaria finisce in un emendamento unico, prendere o lasciare. Ed è vero che l’abuso della fiducia da parte dei governi è recidivo, e anche in questo non vi è stato alcun cambiamento di rotta da parte del sedicente «governo del cambiamento». Ma quello che mai, prima d’ora, era avvenuto è la degradazione del Parlamento a inutile passacarte, una sorta di «bivacco di manipoli» come qualcun’altro avrebbe detto, chiamato ad approvare una manovra finanziaria senza nemmeno la possibilità di leggerla. Non solo di discuterla, ma nemmeno di prenderne visione.

Il testo è arrivato in Senato ieri, con l’obbligo di votarlo seduta stante.
Così è stato violato uno dei principi cardine delle democrazie liberali, il famoso «non taxation without representation». Non si possono imporre tasse, senza che i rappresentanti del popolo (il Parlamento) si possano prima esprimere. Nell’indifferenza dei cultori della «democrazia diretta», si sta uccidendo la democrazia sostanziale del Paese, svillaneggiando le istituzioni e rendendo i parlamentari semplici burattini nelle mani del burattinaio.

Non sappiamo nemmeno cosa è veramente finito dentro in questa manovra, perché fino all’approvazione non si è potuto conoscerla. Non sappiamo quali e quante lobby si sono messe in azione, lavorando direttamente ai vertici, fuori da qualsiasi controllo parlamentare.
Infine, il prezzo più grande da pagare lo scopriranno gli italiani fra pochissimi mesi. La gran parte delle promesse sbandierate, giurate e spergiurate, sono inesistenti. Ma quel che è peggio sono state inanellate, una dopo l’altra, una serie di misure depressive, che incideranno a breve sull’economia reale, le assunzioni, lo sviluppo. E quindi renderanno necessarie nuove tasse poiché la crescita vantata dal governo è platealmente fittizia.

Non solo non c’è stato lo sgravio fiscale a favore del lavoro, e la famosa flat tax è rimasta nelle chiacchiere di propaganda. Ma sono state tolte le misure già in essere per le imprese (cioè per chi assume lavoratori): dal pacchetto Industria 4.0 assai ridimensionato, all’Ace (Aiuto alla crescita economica) soppresso, alla flessibilità del Jobs Act (decreto dignità). In più sono state aumentate le tasse per imprese, società finanziarie e banche (cioè chi finanzia il credito alle famiglie e a chi investe); sono stati bloccati investimenti per le grandi opere; sono stati sforbiciati sconti fiscali e decontribuzioni, strumenti effettivi di stimolo al lavoro.

Sul tavolo sono rimaste esclusivamente misure di natura elettoralistica, dal sussidio a chi se ne sta a casa alle pensioni anticipate, e nemmeno sappiamo quanti ne beneficeranno realmente.
Quando gli italiani se ne accorgeranno, sarà un brutto risveglio. Sembra quasi che chi ha redatto questa manovra pensi già di andare a elezioni anticipate a primavera, prima che gli elettori vedano gli effetti depressivi di tale finanziaria. Riempiendo un’altra campagna elettorale di promesse non mantenibili e di accuse agli altri, e gettare così cortine fumogene sull’inconsistenza del cambiamento.
Che Dio ce ne scampi.

p.giovanetti@ladige.it
Twitter: @direttoreladige

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