Translagorai, ecco cosa cambiare del progetto

Translagorai, ecco cosa cambiare del progetto

di Giorgio Daidola

L'impressione che ho avuto dall'incontro sulla Translagorai organizzato dalla Sat è che la maggioranza dei presenti vi abbia partecipato solo con l'obiettivo di criticare il progetto, non per correggerlo o cambiare qualcosa nella pratica dell'escursionismo in Lagorai. Bastano uno, al massimo due bivacchi, il Lagorai va bene così. Deve rimanere una specie di riserva indiana, unica in un Trentino devastato dagli impianti di risalita e dalle stazioni lunapark. Una reazione quasi isterica a un mondo che non piace più, la ricerca esasperata di un ultimo spazio libero da eleggere a proprio terreno di gioco. Gli altri (escursionisti) che non la pensano così vadano pure altrove, sui sentieri affollati delle Dolomiti, «che mi fanno schifo»: cosi si è espressa una delle attiviste del movimento, suscitando un lungo battimani. 

Questa chiusura a qualsiasi progetto di sviluppo di un turismo di montagna basato sull'escursionismo, che è lo sport outdoor più sostenibile e più diffuso, oltre che in continua crescita, è davvero preoccupante. Il turismo itinerante a piedi è adatto a vaste fasce di popolazione e rappresenta, se ben gestito, il modo migliore per dare a chi vuol vivere in montagna, per nascita o per vocazione, un reddito dignitoso, alternativo a quello alienante dei luna park e delle città in montagna. Da un punto di vista economico per una regione di montagna come il Trentino rifiutare a priori progetti di sviluppo basati sull'escursionismo per tutti è un po' come farsi karakiri. Tutti i paesi alpini limitrofi e anche le regioni confinanti stanno puntando su questo tipo di turismo e ne stanno già cogliendo i benefici in termini di valore aggiunto prodotto e di occupazione in montagna. Hanno infatti capito che si tratta di un turismo intelligente, rispettoso dell'ambiente e della cultura alpina.

In quest'ottica le malghe in quota, per essere redditizie e non continuare a sopravvivere grazie ai contributi pubblici, oppure per non rimanere in stato di degrado, devono prevedere un'integrazione dei redditi agricoli con quelli di questo tipo di turismo. Gli escursionisti che effettuano oggi la Translagorai fruendo dei pochi bivacchi fatiscenti (ammesso di trovarvi posto) non portano nulla al territorio, salvo gli escrementi che vi lasciano. A tale proposito i dintorni degli attuali bivacchi, quelli sì, fanno oggi davvero schifo, non le file indiane di escursionisti che salgono sui sentieri del Catinaccio per raggiungere l'ospitale rifugio Preuss. 

A questo punto chi legge pensa che chi scrive concluda con una lode sperticata dell'attuale progetto Sat-Provincia, o si limiti a qualche critica più o meno benevola, tanto per non farsi catalogare troppo di parte. Ma non è così. Il progetto Sat-Provincia è sbagliato nelle premesse e andrebbe quindi rivoltato come un calzino, per poterne garantire, una volta avviato, l'auspicato successo. Le linee guida da seguire sono tre, tutte piuttosto ovvie ma tutte dimenticate: 1) prima di procedere alle costose ristrutturazioni occorre individuare le figure dei gestori sia dei rifugi che delle malghe. Deve trattarsi di persone oneste e preparate, capaci di fare impresa, di curare con entusiasmo i rapporti con gli ospiti e, al tempo stesso di gestire bene attività agropastorali. Cosa molto importante, devono seguire direttamente i lavori di restauro delle strutture che avranno la responsabilità di far funzionare. Questo capitale umano è tutt'altro che facile da trovare ma da esso dipende il successo del progetto; 2) le strutture devono poter accogliere i turisti tutto l'anno, sia per soddisfare le caratteristiche della domanda che per permettere una soddisfacente redditività. Ne deriva ad esempio che costosi progetti di ristrutturazione senza adeguati impianti di riscaldamento per l'inverno e quindi funzionanti solo in estate non stanno in piedi economicamente. In inverno e in primavera il Lagorai rappresenta un terreno ideale per far scoprire a tutti la magia del turismo invernale itinerante, con gli sci o con le ciaspole, valida alternativa sia agli impianti di risalita che alle gite mordi e fuggi in giornata.

Aggiungo che le salite e discese che secondo gli attivisti di «Giù le mani dal Lagorai» farebbero perdere tempo prezioso (ma le traversate non dovrebbero essere un «elogio della lentezza», non dovrebbero prevedere tutto il tempo necessario per calarsi il più possibile nell'ambiente?) in inverno diventano motivo di grande soddisfazione per chi ama il vero sci; 3) un progetto di questa mole può essere valutato seriamente solo sulla base di un business plan, ossia non solo sui preventivi per effettuare le costose ristrutturazioni ma anche su serie previsioni economico finanziare relative alla gestione delle strutture che ne risultano. Il business plan risulta essenziale non solo per valutare l'investimento ma anche e soprattutto per fissare degli obiettivi da raggiungere e per controllarne la realizzazione. Purtroppo la stesura di questo fondamentale documento sembra essere stata del tutto dimenticata. 

Si può quindi concludere che nel progetto Sat-Provincia per la Translagorai si parte dal tetto anziché dalle fondamenta. Così impostato il suo fallimento non potrà che far gioire i fautori del mantenimento del Lagorai come riserva indiana. Ad essi vorrei ricordare che i bivacchi hanno maggior senso in alta montagna, oltre 3.000 metri, dove risulta difficile costruire e gestire rifugi e dove i 6/8 posti letto sono sufficienti. Comunque sia, chi ha fatto del vero backpacking sa che nelle riserve indiane anche i bivacchi sono banditi. 

Giorgio Daidola
Docente di Analisi economico finanziaria per le imprese turistiche Università di Trento

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