Ricostruire la fiducia tra medico e paziente

Ricostruire la fiducia tra medico e paziente

di Claudio Eccher

Ogni giorno vengo contattato da pazienti storici e non, amici ed amici di amici per avere consigli e spiegazioni di referti vari (esami ematochimici, strumentali, ecografie, Tac, Rmn) e di diagnosi avute. Confesso che dopo una vita spesa per la medicina, sentirmi consultato mi fa anche piacere e a tutti rispondo facendomi carico delle loro patologie.

Ma qual è il problema, o perché si è giunti a questo? In primis i pazienti, al giorno d'oggi, tramite internet, sono più acculturati però, tranne rari casi, in modo ovviamente superficiale.
Gli esami e i referti sì vanno letti, ma soprattutto interpretati, giusto sarebbe venissero consegnati e spiegati da un medico, in particolare quello di famiglia, che li inserisce in un quadro clinico. Il medico però non deve essere un «ragioniere» della medicina, ridursi a lettore delle grafiche come lo è spesso il paziente, che legge gli esami e li confronta con i valori di riferimento.
Ho avuto pazienti con esami vari quasi perfetti ma con gravi patologie in atto, per scoprire le quali, sarebbe bastata una accurata anamnesi (storia clinica) ed una altrettanto accurata visita medica. Un medico necessita di anni per formarsi e per fare, con l'ausilio dei meravigliosi mezzi diagnostici, una giusta diagnosi, soprattutto oggi assistiamo ad uno sviluppo tumultuoso delle varie tecnologie, sia diagnostiche che terapeutiche che hanno causato un profondo cambiamento nella professione medica. 
La medicina ha fatto più progressi negli ultimi decenni che nei millenni precedenti, questo però ha causato un certo distacco nel rapporto medico-paziente. Vi è pertanto la necessità di recuperare tale rapporto oggi purtroppo sfibrato e che è di vitale importanza.
Nell'iter diagnostico terapeutico, specie nelle patologie patologiche, va la regola dei 5 P (la medicina deve essere predittiva, preventiva, personalizzata, partecipata, precision medicine).
Ognuno, sia medico che paziente (io chiamo ancora paziente non cliente-utente) faccia la sua parte. Il medico, sia ospedaliero che di base, si ritagli più spazi per poter spiegare al paziente non in «medichese», i suoi vari problemi facendosene carico e cercando di creare un rapporto empatico rifuggendo dall'effimero.  

Il paziente, poi, dovrebbe recuperare quella fiducia nel suo medico, specie di base, un tempo ritenuta figura mitica. Il medico deve ascoltare, spiegare, essere scientifico, dando sicurezza ed anche nei casi «disperati» mai togliere la speranza. Importante la formazione umanistica, il bravo medico, deve essere anche psicologo, compito propugnato dalla «Medical humanitaties» riportato ultimamente dalla rivista medica «The Lancet».
Il concetto di scuola deve essere rivalutato per evitare un inevitabile livellamento.
Un tempo era un vanto dire di essere stato allievo del «tale maestro» e di provenire da una certa scuola medica. Ne consegue che anche il paziente ne è disorientato, se gli si chiede da chi è stato curato, vi riferirà spesso che è stato nel tale ospedale ma raramente vi saprà dire il nome di chi lo ha in cura o del nome del primario o del direttore del reparto. 
Ancora un breve cenno sulla deontologia che, nonostante i vari codici, ne sta soffrendo sia nell'affrontare i complessi problemi che la professione che ogni giorno comporta, sia quella nel rapporto tra colleghi. Se la classe medica fosse unita, ognuno nel suo ruolo e nel reciproco rispetto, avendo come obiettivo centrale unicamente la salute dei pazienti ed anche con il sostegno dei pazienti stessi, riuscirebbe a centrare obiettivi e risultati importanti.
È bene ricollocare la professione nel nostro tempo, senza però trascurare quei valori che l'hanno resa una «missione» insostituibile, amata e rispettata.

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