Amministrazione opaca sul caso Zappini

di Franco Ianeselli

La vicenda giudiziaria dell’ex dirigente della Centrale unica d’emergenza offre l’occasione per riflettere sui temi dell’equità, dei controlli e della trasparenza nella nostra pubblica amministrazione.
Al di là della vicenda in sé su cui spetta solo alla magistratura esprimere giudizi definitivi e nella ferma convinzione che per ogni persona, compresa Luisa Zappini, valga sempre il principio della presunzione di innocenza, ritengo che non si possa fare a meno di interrogarci sul funzionamento della pubblica amministrazione trentina.
Questa vicenda ha reso evidente a tutti che più di qualcosa, negli ingranaggi di gestione e controllo della pubblica amministrazione, si è rotto. Se a portare alla luce le irregolarità è l’interrogazione di un consigliere provinciale, per di più e non a caso, di una forza di minoranza, c’è qualcosa che non funziona.

Vuol dire che chi denuncia l’abuso o non nutre sufficiente fiducia nei propri superiori o - ed è ancora più grave - la sua denuncia resta inascoltata e, allora, si rivolge ad altri canali. È preoccupante che questa prassi sia diventata più frequente negli ultimi anni.
Una preoccupazione, la mia, che non è censura dell’azione dei consiglieri che esercitano le loro prerogative di controllo, ma inquietudine per un sistema che non sempre sembra avere gli anticorpi al proprio interno per individuare e mettere all’angolo irregolarità e illeciti, dunque non è più sufficientemente sano.

Mi torna in mente un interessante dibattito a cui ho partecipato alcuni mesi fa sul whistleblowing con la partecipazione di Andrea Franzoso, il funzionario che denunciò comportamenti illeciti ai vertici di Ferrovie Nord Milano, e che alla fine ha pagato di tasca sua. La vicenda umana e professionale di Franzoso e dei molti altri come lui dimostra che se vogliamo che gli illeciti emergano allora servono misure per tutelare efficacemente chi decide di denunciare, all’interno dello stesso posto di lavoro. Il nostro Paese ha fatto un importante passo avanti con l’approvazione della legge sul whistleblowing, ma la legge da sola non basta.

Allo stesso tempo credo che siamo tutti sufficientemente acuti per capire che creare le condizioni per «denunciare in sicurezza», ripristinando equità e trasparenza, toglie alibi a chi ha fini diversi.
Pensando alle ultime vicende avvenute in Trentino - anche al caso Itas - sono convinto che al momento sia mancata una risposta forte e un’analoga forte condanna da parte dei vertici delle istituzioni trentine. Questi fatti dimostrano le difficoltà che esistono nel rapporto tra dirigenti e funzionari, e allo stesso tempo tra amministrazione pubblica e cittadino. Da troppe parti emerge, inoltre, la sensazione che i controlli che pur avvengono per la generalità dei dipendenti, sfumino per le figure apicali.

Un cortocircuito pericoloso che finisce con l’alimentare sfiducia, ma anche risentimento e rancore nei confronti di chi viene percepito come ingiustamente «privilegiato». Per questa ragione auspichiamo che i vertici politici e amministrativi mettano in atto delle azioni, anche innovative, per ristabilire un rapporto di fiducia che ci risulta incrinato, stando a quello che ci comunicano molti lavoratori.

È un terreno minato quello su cui ci stiamo muovendo: se è vero, come è vero, che fino a questo momento è mancata una presa di posizione forte, è altrettanto vero come essa non sia più rimandabile, anche in vista dell’importante appuntamento elettorale del prossimo autunno. Perché chiunque vincerà le elezioni dovrà poter contare su una macchina amministrativa sana, che governi efficacemente il funzionamento della nostra Autonomia. Sono consapevole, infine, che quanto sta emergendo chiama in causa anche il sindacato. Dobbiamo essere uno dei canali a cui i lavoratori fanno riferimento nel caso di illeciti, in diversi casi lo siamo, in alcuni le nostre denunce rimangono inascoltate, in altri non siamo sufficientemente efficaci. Non dobbiamo mai dimenticare che tra le nostre funzioni c’è anche quella di essere garanti delle regole e dell’equità sui posti di lavoro e il sindacato deve essere riferimento solido per tutti i lavoratori. Anche da parte nostra, allora, c’è terreno da recuperare.

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