Centrosinistra, corsa al suicidio

di Pierangelo Giovanetti

Un mese e mezzo dopo la disfatta delle elezioni politiche, il centrosinistra autonomista si aggira ancora come un pugile suonato, incapace di capire cosa fare e dove vuole andare. Fra sei mesi, con l'estate di mezzo, si vota alla Provinciali, e i partiti che compongono la coalizione di governo non hanno ancora deciso se confermare il presidente uscente Rossi, se cambiare cavallo, con chi e con quali partiti. Pd e Upt, con un autolesionismo che non ha pari, e non si spiega se non con la precisa volontà di perdere, hanno deciso di non decidere e di rimandare all'estate ogni decisione. 

Sull'altro versante, la coalizione di centrodestra autonomista ha già un candidato forte, Maurizio Fugatti (vedi l'intervista di ieri all'Adige), una squadra di partiti che si sta definendo in fretta, un sostegno convinto e compatto di tutta la coalizione sul nome del proprio candidato.
Già la corsa del centrosinistra verso ottobre è tutta in salita, avendo raccolto il 26% dei consensi alle elezioni di marzo, se poi ci si aggiunge l'incertezza totale sulla guida, la quotidiana delegittimazione del governo in carica, i fumosi vertici in cui ci si spara addosso e non si conclude nulla, la partita si può già dare per persa. Con buona pace di gran parte degli attuali consiglieri di maggioranza che forse non hanno capito che se il centrosinistra perde, la maggior parte di loro resta a casa. E non è vero - come si sente dire da taluni dalle parti del Pd - che, vabbè, per stavolta si farà l'opposizione. Una volta che il centrosinistra autonomista è sconfitto a ottobre, si chiude un ciclo (forse si è già chiuso), e non sarà così immediato la volta successiva raccogliere i pezzi e rifare una coalizione.
Il centrodestra ci ha messo vent'anni per tornare in gioco.

È legittimo da parte del Pd e dell'Upt chiedersi se mantenere la fiducia a Ugo Rossi, o no. Ma se si decide di cambiare cavallo, bisogna affrettarsi. Forse è già fin troppo tardi, a pochissimi mesi dalle elezioni. Poi, bisogna avere il nome sostitutivo, e deve essere un nome forte e avere il sostegno convinto e unitario di tutto il Pd (impresa che ha quasi dell'impossibile) e dell'Upt. 

In secondo luogo occorre avere validi argomenti politici per sfiduciare il presidente uscente. Non basta dire: non mi è simpatico, o ha un pessimo carattere (che può anche esser vero). O non sa fare autocritica.
Serve mettere in campo ragioni politiche di peso, perché sfiduciare il leader della coalizione, colui che impersona il governo dei cinque anni di legislatura, il capo dell'esecutivo che continuerà a governare la Provincia da qui a ottobre insieme a Pd e Upt, cioè coloro che l'hanno silurato, è una sorta di sfiducia pubblica sull'operato dell'intera coalizione uscente, e quindi degli assessori e dei consiglieri che l'hanno sostenuta per cinque anni. Come si fa a chiedere il voto agli elettori sulla stessa coalizione a ottobre, quando sono stati i suoi vertici a bocciarla nella persona di chi l'ha guidata? 

Altro punto che Pd e Upt devono prendere in considerazione nel scegliere un candidato alternativo (se c'è, questo benedetto Francesco Valduga deve uscir fuori adesso, non si può aspettare settembre per vedere se nell'uovo c'è la sorpresa), è quello di considerare se i voti che porta siano almeno sufficienti a compensare quelli che perderà dal Patt. Perché se il partito autonomista ha detto che il suo candidato è Ugo Rossi, presidente uscente della Provincia, e sarà Ugo Rossi anche qualora Pd e Upt scelgano un altro nome, vuol dire che difficilmente ci saranno i voti del Patt alla coalizione di Pd e Upt. Ci sarà in corsa il candidato di Pd e Upt, e il candidato Ugo Rossi. Con la quasi matematica certezza che le elezioni le perderanno tutti e due, per la soddisfazione piena di Maurizio Fugatti e della Lega.
Se a pochi mesi dal voto siamo in queste condizioni, forse è vero che la coalizione non c'è già più. Probabilmente è finita nel luglio del 2013, quando il Pd ha perso le primarie e ha vinto a sorpresa Rossi. Cosa che non è mai stata digerita dal perdente Olivi, ma anche da una buona fetta del Pd. 

Certo, questo vuol dire che Ugo Rossi ha fallito come leader della coalizione, perché non è stato in grado dopo il successo delle primarie di ricompattare la sua squadra. Si può obiettare che il matrimonio si fa in due, e se uno dei due non ci sta più, diventa improbo mantenere l'unione. E il fatto che il Pd abbia sparato un giorno sì e l'altro pure sulla coalizione in cui era il primo partito e sull'azione di governo di cui era il primo intestatario, non ha certo giovato alla salute della maggioranza. Ciò non riduce, però, le responsabilità di Ugo Rossi, e il suo flop nell'essere garante di tutte le anime della coalizione, e non solo del Patt. Non è stato motore di unione e di sintesi, e gli effetti ora si vedono.
La stesso sbilanciamento di Rossi, che da tempo flirta su temi cari al centrodestra per coprire una fetta di mercato elettorale che altrimenti il centrosinistra non intercetterebbe, ci starebbe tutto se lo facesse il Patt, ma se lo fa il governatore in persona diventa elemento destabilizzante. E di qualsiasi cosa la maggioranza uscente ha bisogno che di altra destabilizzazione.
Resta comunque un dato di fatto. Se strappo deve essere con il Patt, va fatto subito. Mettendo in conto tutte le conseguenze. L'unica cosa soltanto che può nuocere a tutti, a ogni partito della coalizione, è la tiritera quotidiana del gioco della margherita, Rossi sì Rossi no, Rossi forse.
Un pessimo spettacolo per i cittadini, anche per un dettaglio non da poco. Il nome su cui si fa il tiro al bersaglio è il presidente della Provincia, il capo del governo dell'Autonomia. Che messaggio viene dato alla cittadinanza sulla credibilità dell'attuale maggioranza se ad essa non ripongono fiducia nemmeno quelli che vi fanno parte? Ha buon gioco Fugatti a dire allora che va azzerata, e va cambiata musica.

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