Le riforme che non si fanno

Le riforme che non si fanno

di Sergio De Carneri

Nel corso del decennio da poco compiuto, maggioranze contrapposte del Parlamento hanno votato due riforme della Costituzione italiana, che sono poi state entrambe bocciate dall’elettorato nei referendum del 2006 e del 2016. E questo avvenne nonostante che da molti decenni, istituzioni politiche, apposite commissioni, autorevoli personalità del diritto e della cultura, lo stesso Presidente della Repubblica con il consenso della pubblica opinione, avessero affermato la necessità e l’urgenza di porre mano alla riforma. Questa cronica incapacità di autoriformarsi, del sistema politico italiano, getta un’ombra sul futuro del nostro paese. Guardando alla riforma varata dal centrodestra e bocciata dall’elettorato nel 2006, si potrebbe dire che prevedeva un abnorme aumento dei poteri del capo del governo a discapito di quelli del Presidente della Repubblica.


Al Presidente della Repubblica, infatti, veniva sottratto addirittura il potere di sciogliere le Camere, e quindi anche il ruolo di garante degli equilibri costituzionali. E questo non piacque al corpo elettorale che, a quanto pare, non è propenso ad accettare questa riduzione del ruolo del capo dello stato, né una modifica in senso semipresidenzialista della carta fondamentale.


La riforma respinta poco più di un anno fa, varata dal centrosinistra, non alterava gli equilibri costituzionali, ma innovava in profondità il sistema bicamerale, facendo della Camera dei deputati l’unica detentrice della sovranità popolare, e del Senato, l’espressione del sistema delle autonomie, con compiti legislativi differenziati rispetto a quelli generali della prima. Ad essa mancò il tempo, l’impegno, e l’umiltà necessari per promuovere il necessario clima politico di dialogo fra gli opposti schieramenti, fu inoltre male spiegata, ma il colpo fatale venne dalla pretesa del capo del governo, e del partito di maggioranza, di trasformare il referendum sulla riforma in una sorta di plebiscito sulla sua leadership. Probabilmente questo allontanò vasti strati di elettori dalla adesione a un testo che era in sé accettabile. Così, siamo al punto di prima.


Cade quest’anno il settantesimo anniversario della entrata in vigore della Costituzione, ed il tempo ha evidenziato, accanto ad un grande favore popolare di cui ancora gode, l’esistenza di una grave stortura negli assetti costituzionali che ne pregiudica la funzionalità e distorce gli stessi processi di formazione della rappresentanza politica del popolo nelle istituzioni. Essa è data dal bicameralismo paritario che vede la presenza di due assemblee parlamentari, entrambe elette direttamente dal popolo e con eguali poteri, che devono in ogni caso e in ogni campo, coincidere, per cui ciascuna ha un assoluto e generale potere di veto nei confronti delle iniziative dell’altra. Esse hanno sì uguali poteri, ma non uguale grado di rappresentatività popolare.


La Camera rappresenta tutto il popolo italiano, ed è eletta dai cittadini che hanno compiuto i 18 anni, mentre il Senato lo è da chi ha compiuto i 25 anni, con la conseguenza che parecchie classi di giovani e qualche milione di elettori, non possono ritenersi rappresentati in questa assemblea. Ma le discrasie appaiono maggiori ove si consideri la disciplina dell’elettorato passivo. È noto che per diventare senatore, è necessario aver compiuto 40 anni.


Questa «conventio ad excludendum» di chiara natura gerontocratica, varata allora dai «Padri costituenti» pur fra dubbi e contestazioni, appare oggi, 70 anni dopo, in tutta la sua abnormità. In questa fase della nostra civiltà in cui ogni ramo della attività umana è proiettato in avanti, verso la innovazione e la ricerca, si è già da tempo scientificamente accertato che il culmine delle capacità cognitive dell’individuo viene raggiunto quando esso è al di sotto dell’età di 40 anni. Il che significa che alle generazioni più produttive ed innovative (una dozzina di milioni e più di persone) pienamente immerse nella rivoluzione digitale, è precluso l’accesso ad una delle istanze supreme dello stato, quella che ha un assoluto potere di interdizione sia nella attività legislativa che in quella decisoria, nei settori più cruciali della vita costituzionale.


A questo si aggiunge la palese iniquità di una discriminazione a danno di coloro che si affacciano alla vita, nel senso esistenziale, sociale e politico, e sono cittadini con pienezza di poteri, ma si vedono negato il diritto di rappresentare in prima persona le loro istanze, in un ramo del Parlamento.


È quindi contestabile, ancorché radicata e diffusa, la opinione che le classi anziane possono più ponderatamente interpretare le esigenze di quelle giovanili. L’esperienza ci dice invece che una persona matura, anche quando ha funzioni di rappresentanza politica, è, nelle scelte, determinata innanzitutto dal suo status esistenziale, sociale, patrimoniale e culturale. L’esempio più eclatante è dato dalle vicende del nostro sistema pensionistico.


Tuttavia le conseguenze deteriori del bicameralismo perfetto, non si limitano a questo. L’articolo 94 della Costituzione prevede che il governo, per assumere la pienezza dei i suoi poteri costituzionali, debba avere la fiducia di entrambi i rami del Parlamento. Se quindi il Senato, pur rappresentando solo una parte del corpo elettorale, la nega, la vita politica del paese rimane paralizzata. Ma ancor più drammatica è l’ipotesi dello stato di guerra, previsto dall’articolo 78.
Nel caso che l’Italia fosse aggredita, o lo fosse la coalizione cui siamo legati da patti di mutua difesa, ciascuna Camera dovrà, perché esso sia legalmente valido, deliberare lo stato di guerra ed i provvedimenti conseguenti. Ma se il Senato, di fronte a drammatiche scelte, magari per pochi voti, o un solo voto, dicesse di no, il paese rimarrebbe paralizzato mentre è sotto attacco.


Tutto questo induce a ritenere che il bicameralismo paritario costituisce una micidiale stortura dei nostri assetti costituzionali, Esso contraddice al principio proclamato dall’articolo 1 della Costituzione, secondo cui «la sovranità appartiene al popolo», dividendolo invece in due categorie, gli ultraquarantenni, dotati della pienezza dei poteri politici, e gli infraquarantenni, cittadini di serie B, che sono esclusi dall’accesso ad un ramo del Parlamento. Infine, Il bicameralismo paritario ci discrimina da tutti gli altri paesi a democrazia parlamentare, in cui una sola camera, rappresentativa di tutto il corpo elettorale, è esclusiva detentrice della sovranità popolare, e di una potestà legislativa generale e prevalente su quella di una seconda Camera.


Data l’entità, la dislocazione delle forze politiche, e le caratteristiche della nuova legge elettorale, non è escluso che dalla imminente consultazione elettorale nasca, per forza di cose, un’ampia coalizione comprensiva di tutte le forze politiche che, sia pure in varie forme, credono nel processo di costruzione europea. Ma se questa coalizione si formerà, penso che gli elettori abbiano diritto di chiedere che essa, facendo di necessità virtù, affronti finalmente, con uno sforzo congiunto, oltre ad altri temi prioritari, anche quello, non meno vitale, della riforma della Costituzione.

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