Candidati fragili, Trentino debole

Candidati fragili, Trentino debole

di Pierangelo Giovanetti

Lo spettacolo vergognoso a cui si sta assistendo in queste settimane in Trentino sulle candidature alle elezioni politiche, con una girandola di nomi a casaccio come fosse una lotteria in cui piazzare i politici a fine carriera preoccupandosi di questioni di corrente e di genere invece che di qualità e peso dei candidati, la dicono lunga su quanto la classe dirigente di questa terra non abbia ancora capito che l’Autonomia si esercita a Trento, ma si difende e si rafforza a Roma. È inspiegabile, altrimenti, come nella scelta dei nominativi siano del tutto ininfluenti le competenze, il radicamento territoriale, il peso politico, la rappresentatività della coalizione, sia per il centrosinistra autonomista che per il centrodestra. Per i 5Stelle la non-competenza è addirittura un vanto.

La composizione della delegazione parlamentare e il legame forte e strutturale con i partiti nazionali sono fondamentali, come la storia della Prima Repubblica insegna, per dare al Land Trentino una voce ascoltata nelle scelte di governo e parlamento. Se il Primo e il Secondo Statuto sono stati fatti propri dallo Stato italiano (di cultura centralista), lo si deve in buona parte al lavoro della delegazione parlamentare di quei tempi, da De Gasperi in avanti, con i Piccoli, gli Spagnolli, le Conci, i Postal e i Ballardini dell’epoca. Sono 25 anni che i trentini non esprimono un sottosegretario al governo, se si escludono le comparse catapultate in regione da fuori o gli inseriti secondo logiche nazionali. Ministri non ne abbiamo da quasi 50 anni.

L’uomo più importante per l’Autonomia regionale è l’ex sindaco di Belluno (che non ha l’autonomia) Bressa, in Parlamento da 22 anni, sottosegretario da 20, e invocato a gran voce per la ricandidatura.

Evidentemente non c’è nessuno dei trentini che è ritenuto in grado e all’altezza di svolgere quel ruolo di garante delle autonomie linguistiche e regionali da Bressa finora esercitato, e ancor più indispensabile dopo l’uscita di scena del sudtirolese Karl Zeller, esperto e autorevole presidente del gruppo delle autonomie.
Se guardiamo ai risultati «di sistema» portati a casa solo nell’ultimo anno per il Trentino - il rinnovo dell’A22, le concessioni idroelettriche, 350 milioni di euro di arretrati della quota variabile, i fondi previdenziali e sanitari - in gran parte sono dovuti oltre ad un’azione congiunta con la delegazione parlamentare sudtirolese, al fatto di poter contare sul presidente della commissione Bilancio del Senato Giorgio Tonini, l’uomo più importante nelle istituzioni romane che i trentini hanno avuto in questa seconda parte di legislatura, e ai suoi legami forti nel governo, nel ministero dell’Economia, nel partito di maggioranza, il Pd.

Questo conta per una provincia che vuole essere Land Autonomo: avere una squadra di parlamentari radicata in un grande partito, capace di tessere alleanze, abile a individuare soluzioni innovative da proporre e con cui contrastare le lobby contrarie alle autonomie (contro l’A22 si sono scatenati interessi potentissimi), esperta e competente. Che poi siano donne o uomini, del collegio di Trento o di quello della Valsugana, ex assessori che non sanno dove andare o ex leader che puntano a partitini dello 0,001, non ha alcun valore. L’importante è che abbiano quelle caratteristiche, cioè la capacità di fare squadra, l’umiltà di tessere rapporti duraturi, di godere della stima dei colleghi sudtirolesi, di portare in dote un’autorevolezza e un’esperienza in grado di aprire spazi a Roma, pur nella difficoltà che la capitale da sempre frappone per emergere, specie nel prossimo Parlamento dove regnerà il caos più totale.

A tal proposito emblematico è il fallimento dell’ex presidente della Provincia Lorenzo Dellai, per tre legislature principe assoluto e incontrastato dell’Autonomia, che ha buttato l’intera legislatura a rincorrere i partitini del niente per essere capo di qualcosa, invece di costruire un’alleanza stabile e potente con il partito di maggioranza. Probabilmente per mancanza di umiltà e insipienza politica, ha passato il suo tempo a rimuginare Trento invece che a tessere un qualcosa di duraturo in parlamento, per il Trentino oltre che per se stesso. E alla fine non si sa nemmeno se sarà eletto, se il suo microscopico raggruppamento supererà il quorum, se avrà un collegio, visto che dopo una legislatura a Roma il massimo di compagni di strada che ha trovato è un frammento dell’Ap di Alfano, comandato dalla Lorenzin.
C’era da costruire il dopo Bressa, il dopo Zelger e il dopo Tonini, e invece si è trastullato con le alchimie partitiche, sfornando dal cilindro continue sigle inutili e senza senso. Ora, di questo si dovrebbe parlare nella scelta delle candidature. Queste sono le valutazioni da fare. A questo servono i partiti.

Altrimenti è meglio affidarsi all’estrazione a caso dei candidati, come ha fatto Forza Italia con la Bottamedi, eletta con i 5Stelle, passata al Patt di cui era una sostenitrice agguerrita della politica scolastica di Rossi, poi finita nel gruppo misto in attesa di collocarsi a dovere, e spuntata d’emblée in Forza Italia.

Il peggio del trasformismo italico, da sempre combattuto - a parole - dai grillini, che ha come interprete regina oggi proprio un’ex grillina. A dimostrazione che la selezione della classe politica è importante, e non si può affidare a dei meetup da venti persone, o a parlamentarie dove vota chissà chi, e poi vengono fuori le Bottamedi.
Ridicola - e alquanto indecorosa - è poi la pagliacciata del Pd, dove si assiste ad una lotta spietata per avere il collegio di Trento, quello più sicuro in base ai sondaggi, a prescindere da qualunque legame territoriale, di squadra, di supporto della coalizione. Ma è mai possibile che non ci sia nessuno nel Partito democratico, il primo partito del Trentino (almeno fino al 4 marzo), che abbia storia, fegato, coraggio, leadership da candidarsi negli altri collegi, cercando di portarli a casa, invece di fuggire a gambe levate? Ma che partito è quello che non si fida di se stesso, della propria capacità di convincere gli elettori, della qualità dei propri rappresentanti?

Sul resto va steso un velo pietoso.

I 5Stelle si affidano a emeriti sconosciuti che, probabilmente come Di Maio, al massimo della loro esperienza hanno fatto gli steward allo stadio San Paolo. Sbagliano i congiuntivi e confondono il Cile con il Venezuela, ma puntano a guidare uno dei Paesi più industrializzati del mondo contando sull’onda lunga del «vaffa», e viva la marchesa.
Forza Italia idem con patate. Non ha personale politico e qualità di candidature, e pertanto catapulta qua e là ciò che capita. Riesumando dai sarcofaghi nomi della Prima e Seconda Repubblica, così per provare l’effetto che fa. C’è da sperare solo nella Volkspartei, che faccia un buon risultato e che selezioni un po’ meglio le candidature di quanto stia facendo il Trentino. Poi, che Dio ce la mandi buona. La prossima legislatura sarà tutta un’avventura per il «Land Autonomo di Trento». E da noi si sta discutendo se è maschio o femmina il candidato del capoluogo...

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