Gli alunni non sono vasi da riempire

Gli alunni non sono vasi da riempire

di Alessandro Tamburini

«Non so come fare, sono indietro col programma!». L’ho sentito dire più di una volta da qualche collega a scuola, e se si tratta di una materia scientifica non mi permetto giudizi, ma nel caso di quelle umanistiche storco il naso, poco persuaso.

Poco persuaso dallo spirito che trapela da timori del genere, come dagli esiti che tende a produrre.
Reputo di certo importante che i ragazzi del triennio delle Superiori, dove insegno, abbiano un quadro della storia e della letteratura, che incontrino i grandi autori e si nutrano delle conoscenze e delle emozioni che essi possono trasmettergli. Ma non per questo il programma deve tradursi in una rigida prescrizione, in una corsa affannosa, come se si trattasse di una tessera a punti da completare in tempo per non perdere un premio.

In tanti anni di scuola ho ampiamente verificato che l’obiettivo dell’esaustività, oltre che poco realistico, risulta fuorviante. Ho già scritto e ripeto una massima esemplare al riguardo: non si tratta di riempire un vaso ma di accendere un fuoco. Credo che questo significhi, almeno nelle mie materie, portare i ragazzi vicino al cuore delle cose, dentro il modo di vedere e raccontare il mondo di un autore, nella profondità e complessità di un evento storico. E ciò implica a priori che non posso trattarli tutti. Meglio allora tracciare un quadro generale, una mappa di orientamento, per poi approfondirne alcuni. Scelti fra quelli imprescindibili, ma anche in base alle migliori conoscenze e quindi anche ai gusti dell’insegnante.

Io non sono preparato in uguale misura su tutto e ho molto più chance di riuscire a coinvolgere i ragazzi se tratto un argomento che mi appassiona. In letteratura cerco di dare il massimo spazio possibile ai testi, perché altrimenti vedo subito il rischio di trasformare poeti e romanzieri in pseudo filosofi, inquadrati con espressioni insopportabili, come «l’ideologia di uno scrittore».

Per la storia è lo stesso. Di un determinato periodo indico gli architravi, gli eventi e gli snodi decisivi, poi mi concentro su pochi, anche solo uno, convinto che se riusciremo a metterlo bene a fuoco i ragazzi potranno comprendere le leggi e le forze che agiscono alla base di tutti.
L’intento di trattare ogni possibile argomento ha un effetto negativo più spiccato nel triennio delle superiori, cioè portare i ragazzi alla quinta senza lo spazio necessario ad affrontare quello che invece dovrebbe essere il suo centro: l’età contemporanea, il Novecento almeno, visto che abbiamo già alle spalle un discreto tratto del secolo successivo. Nelle commissioni dell’esame di Maturità, come molti colleghi potranno confermare, mi capita troppo spesso di trovare  programmi che per l’italiano si fermano a Pirandello, per la storia alla seconda guerra mondiale quando va bene. Mi pare una grave manchevolezza, e per svariati motivi.

Dopo aver chiesto per anni ai ragazzi lo sforzo non indifferente di confrontarsi con testi scritti in un italiano antico e ostico, non ha senso privarli delle stagioni letterarie in cui gli autori parlano la loro stessa lingua, raccontano storie calate nel mondo in cui stiamo vivendo. È nel confronto con la realtà di oggi che deve trovare compimento tutto il lavoro svolto in precedenza per far emergere il rapporto fra letteratura ed esperienza di vita. Per la storia vale lo stesso principio. Non ci si può fermare a metà del secolo scorso, trascurando così eventi cruciali che sono all’origine delle più drammatiche realtà di oggi, quelle che i ragazzi incontrano, subiscono, in maggioranza sprovvisti degli strumenti per comprenderle. Nei temi di italiano quando ero studente preferivo i titoli di attualità, mentre ora sono quelli in cui i miei alunni incontrano le difficoltà maggiori, Sono poco informati, poco interessati, a forte rischio di cadere in luoghi comuni e grossolane semplificazioni. Sono inclini a quel misto di catastrofismo e indifferenza, piagnistei e cinismo di cui è pervasa la visione che i media ogni giorno gli forniscono.
Se è ancora vero che la storia serve a leggere e comprendere il presente, sarà imprescindibile trattare in classe la svolta del 1989, la caduta dei blocchi e la destabilizzazione mondiale che ne è seguita ed è a tutt’oggi determinante. Lo stesso vale per la decolonizzazione come matrice dei gravi travagli da cui è oggi afflitta la parte più povera del pianeta, se si vuole far capire ai ragazzi il retroterra dell’immigrazione, la condizione dei paesi africani dai quali sono fuggiti i giovani neri che incontrano per strada. Bisognerà fargli conoscere le radici del conflitto arabo-israeliano, la sempre disattesa e ancora irrisolta questione dello stato palestinese, le guerre scatenate in medio oriente dagli anni ottanta a oggi, perché possano capire quale motore e quali combustibili muovano la macchina infernale del terrorismo.

E non ultimo, si dovrebbe dare ai ragazzi almeno un’idea della recente storia italiana, con la crisi delle ideologie, dei partiti a esse legati e infine della politica stessa. Perché durante il triennio delle superiori compiono diciotto anni, e acquisiscono un diritto al voto che la maggioranza di loro non sa come esercitare. Sappiamo che lo studio della storia recente è delicato perché più soggetto a interpretazioni di parte, ma l’insegnante può comunque presentare fatti, offrire documenti, fornire ai ragazzi strumenti attraverso cui formarsi idee proprie. Perché siano un po’ meno vittima di gatti e volpi, lucignoli e grilli parlanti, coi loro trabocchetti azionati quasi sempre da molle di ignoranza e di egoismo.

comments powered by Disqus