Silvio resuscita grazie alla sinistra

Silvio resuscita grazie alla sinistra

di Pierangelo Giovanetti

Non sappiamo se la nuova riforma elettorale - il «Rosatellum» - andrà in porto, nonostante sulla carta disponga del sostegno di quattro dei maggiori partiti: Pd, Forza Italia, Lega e Ap. Offrirebbe al Paese qualche vantaggio in più sul piano della rappresentanza adottando liste bloccate corte e collegi uninominali maggioritari, ma non darebbe anch’essa alcuna garanzia di un governo dopo il voto, come l’attuale «Consultellum». La verità è che pochi ci credono e al momento dell’urna segreta, i franchi tiratori avranno campo libero per affossarla, con i partiti tutto sommato contenti adducendo la scusa che ad ogni modo ci hanno provato.

Comunque sia, sul piano della governabilità non cambierà nulla, e il prossimo governo - se nascerà - sarà per forza di «larghe intese», più o meno come quelli che governano in Italia dal 2011 in poi. Sono infatti sei anni che il Pd governa insieme a Berlusconi (con la benedizione di Bersani  segretario), o insieme a pezzi importanti del centrodestra. Purtroppo lo sciagurato sistema uscito dalle sentenze della Corte costituzionale, costringerà di nuovo a larghe coalizioni. Diventassero anche i CinqueStelle il primo partito, non potrebbero mai governare se non alleati con qualcun altro. Al di là dei loro slogan, che sono solo fuffa propagandistica.

Un vincente, però, nel caos politico che si è creato nel Paese dopo il referendum di dicembre, c’è già: l’immarcescibile Silvio Berlusconi, 81 anni la settimana prossima, resuscitato dalla caduta di Renzi, e soprattutto dal disfattismo suicida della sinistra, da D’Alema in giù compreso in certi momenti quel galantuomo di Pisapia, che hanno un unico obiettivo: far fuori Renzi e far perdere il Pd. Anche se questo regalerà di nuovo lo scettro al Cavaliere.

Nello spappolamento del sistema politico, in cui non c’è più il baricentro esercitato dal Partito democratico, ed è stato affossato il maggioritario virando nella palude del proporzionale (dove non esistono vincitori e perdenti, ma solo estenuanti mercanteggi fra le segreterie), chi ha tratto il vantaggio maggiore è stato Silvio Berlusconi. Pur condividendo la riforma costituzionale (che aveva contribuito a realizzare), l’ha fatta fallire per un puro calcolo politico, lo stesso di Massimo D’Alema: scalzare di sella Matteo Renzi e possibilmente cancellarlo dalla politica, facendo tornare il Pd il partito dei Bersani e degli eredi della tradizione comunista.

Poi ha virato al centro, mollando la paccottiglia populista, euroscettica e antisistema che aveva cavalcato dopo il boom dei CinqueStelle, pensando di lucrare anch’egli, come Grillo, rendite dalle urla rabbiose e dalla bava alla bocca.
S’è inventato persino la baggianata della «doppia moneta» così da non strappare sul fronte di Salvini che vuole l’uscita dall’euro, sapendo benissimo ciò che Draghi ha ricordato anche di recente: esiste un’unica moneta nell’Eurozona, ed è l’euro. Sa che non può essere candidato, ma il sistema elettorale voluto dalla Consulta non prevede il candidato premier: i partiti si presentano ciascuno per conto proprio, e poi si contano, vedendo quali maggioranze sono possibili.

Lui resta il leader di Forza Italia e del centrodestra, e si muove da corsaro: se il centrodestra nel complesso si rafforza (e ha ottime possibilità grazie alla guerriglia quotidiana della sinistra contro il Pd), allora pilota un governo di centrodestra. Altrimenti il pallino resta sempre suo, perché può dar vita a un esecutivo con un Pd indebolito, dettando quindi legge, e stabilendo il programma. Chapeau!
Il problema non è tanto l’astuzia del Cavaliere, furbo di sette cotte e cinico come pochi altri, ma l’imbecillaggine della sinistra italiana, da sempre tafazziana e nostalgica di illusioni che la storia ha dimostrato false.

Pur di vendicarsi di Renzi che ha rottamato la vecchia classe dirigente comunista del Pd (D’Alema non manda giù di essere stato escluso dal partito socialista europeo), gli scissionisti del Partito democratico hanno un’unica ossessione, far fuori il fiorentino, anche se questo comporta resuscitare Berlusconi e dargli il boccino in mano nella prossima legislatura. Del resto, la scissione è stato solo questo: una pura operazione di ceto politico per garantirsi un seggio nel prossimo Parlamento, e arrecare il maggiore male possibile al partito di provenienza.

Anche questo secondo un classico e consolidato copione della sinistra, che preferisce perdere e far perdere, purché non vinca un proprio compagno. Basta vedere ciò che ha fatto Cofferati in Liguria per gambizzare il candidato Pd e far vincere Totti di Forza Italia-Lega; o quello che sta succedendo in Sicilia, o quello ancora che la premiata ex ditta punta a fare alle prossime elezioni nazionali.
Di tutto questo ha tratto giovamento e godimento lo scaltro Berlusconi, che ha solo da aspettare che Massimo D’Alema e compagnia bella facciano il lavoro sporco per lui, dimostrandosi il loro migliore alleato, come è sempre stato.

Intanto il vecchio Baffino si sta esercitando per logorare Giuliano Pisapia, ingenuamente convinto che possa resuscitare l’Ulivo, senza la legge elettorale che ha permesso la nascita dell’Ulivo e del bipolarismo. Per il vecchio «pioniere» comunista, pupillo di Togliatti, l’ex sindaco di Milano è solo un fastidioso e sciocco intralcio nella sua strategia di capitanare i reduci di sinistra, e togliere voti al Partito democratico. Per questo lo sta cucinando a fuoco lento mentre, senza accorgersene, sta portando acqua al suo mulino.
La controprova la si è vista in questi giorni con la proposta della nuova legge elettorale che introduce un po’ di coalizione, rispetto alla corsa solitaria prevista dal Consultellum. Coalizione che dovrebbe voler dire fare squadra col Pd, per dar vita ad un possibile centrosinistra. Ipotesi subito demolita dal partitino di Bersani. Quindi, Berlusconi gode. In attesa dell’incasso.

Certo, in tutto questo resta l’incognita CinqueStelle. Sulla carta ha un consenso non da poco, almeno un quarto dell’elettorato. Ma ha un handicap insuperabile: è una galassia eterogenea e diversissima al suo interno, tenuta insieme solo dai «vaffa», dalle scie chimiche e dai «complotti» del gruppo Bilderberg, in piena crisi d’identità di fronte all’ipotesi di governo, lacerata al suo interno da odi profondissimi e da rancori personali insanabili, che ne fanno una bomba chiodata pronta a esplodere da un momento all’altro. Perfino il mito della «democrazia diretta» mostra la corda, dimostrandosi un bluff megagalattico, con il candidato prescelto da una società privata, la Casaleggio Associati, che annuncia di «accettare» la candidatura, prima ancora che si siano svolte le votazioni per assegnarla.

Un candidato Di Maio che corre come candidato unico (a parte i sette nani), la cui designazione avviene in una votazione misteriosa i cui esiti rimangono 48 ore nascosti, come nei regimi stalinisti, in attesa di «sistemare» il risultato ed eliminare le preferenze dissenzienti. Così è acclarato: l’unica «democrazia diretta» di cui si riempiono la bocca i CinqueStelle è quella diretta dal Grande Fratello, una ambigua e impenetrabile società privata che non risponde a nessuno, nemmeno alla legge. Cambiando i regolamenti a piacere, secondo il tornaconto del momento.

Provare seriamente a governare è certo meno appassionante che litigare online e gridare al complotto, e soprattutto non tiene uniti, rischioso per un movimento che va forte con la protesta, ma è incapace di gestire persino un’amministrazione comunale come s’è visto a Roma, con 18 assessori cambiati in 18 mesi, e la capitale paralizzata, basta solo un acquazzone. Anche su questo punta Silvio Berlusconi alla vigilia dei suoi 81 anni.

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