L'Autonomia trentina, Asterix e i romani

di Michele Andreaus

Il villaggio gallico di Asterix era una piccola enclave autonoma all'interno dell'impero romano.
Difendendosi quotidianamente dagli attacchi delle legioni romane, il villaggio riusciva a mantenere una totale autonomia, alla fine quasi accettata dallo stesso Giulio Cesare (si vedano ad esempio «Il figlio di Asterix» e «Asterix e Cleopatra»).

Gli abitanti erano al loro interno molto litigiosi, si prendevano letteralmente a pesci in faccia. Però quando si trattava di fare a cazzotti con la legione romana di turno per difendere la loro autonomia, erano di una compattezza granitica.

Il villaggio era caratterizzato da una fortissima identità e senso di appartenenza. Avevano un capo, Abraracourcix, che era un brav'uomo, mai preso del tutto sul serio e un po' succube della signora Beniamina, sempre molto calata nel ruolo di first lady del villaggio, ma nel momento del bisogno tutti si identificano in lui e lo sostenevano compatti. Ma tutto questo non bastava per essere autonomi. Ciò che li rendeva vincenti era la pozione magica di Panoramix, che li rendeva di fatto invincibili per alcune ore, giusto il tempo della battaglia.

Ecco, a volte penso che la lettura di qualche storia di Asterix, al di là della piacevolezza e del divertimento, possa dare qualche interessante spunto di riflessione sulla nostra autonomia, magari molto più coinvolgente rispetto ai barbosi contenuti delle Giornate dell'Autonomia, dove ultimamente ci si parla un po' addosso, ci si definisce eccellenti, salvo poi lamentarsi che la partecipazione attiva al dibattito sul nuovo statuto è del tutto assente.

Mai mi permetterei di criticare la politica, ci muoviamo all'interno della perfezione quasi assoluta, ma c'è comunque un problema, che ritengo grave: alla gente pare che, in concreto, dell'autonomia interessi pochino. Eppure è un aspetto importantissimo, attorno al quale dovrebbe esserci quella coesione gallica di cui si diceva.

Forse abbiamo perso la pozione magica, forse dobbiamo reinterpretarla, dare un senso a questa nostra terra, che cerca con la narrazione del passato di nascondere la mancanza di prospettiva futura. Io stesso non sono in grado di appassionarmi ai lavori della commissione per lo statuto. A parte qualche persona che gode della mia massima stima, non mi sento nemmeno un granché rappresentato.

Il tutto è stato impostato su una prospettiva giuridica, e ci sta, il giurista sta bene ovunque, in tutte le stagioni e con qualsiasi tempo. Però la dimensione giuridica non può essere il fine, deve essere il mezzo. Uno statuto è la veste giuridica di un progetto, senza il quale esso diviene un insieme di regole amministrative, fini a sé stesse, utili appunto per dare lavoro al giurista che, con aria seria e rigorosa, compila queste regole.

Poi abbiamo questa continua narrazione dell'autonomia. De Gasperi e Kessler innanzitutto. Per il primo è stato addirittura aperto un processo di beatificazione, per il secondo non lo si è ancora ritenuto opportuno. Grandi politici, certamente da annoverare nella hall of fame della politica, internazionale il primo e locale il secondo. L'assetto dell'Europa e del Trentino di oggi recano ancora evidenti le tracce delle loro azioni.

Ma al loro tempo erano avversati pesantemente dai loro stessi compagni di partito. Molti di coloro che oggi ricordano Kessler ogni venti parole, erano i primi che non vedevano l'ora di liberarsene e se Kessler si fosse comportato come loro oggi, attenti a soffocare ogni possibile germoglio di classe dirigente pensante, sarebbero stati soppressi in culla direttamente.

A volte si tenta addirittura una rivisitazione ed un approfondimento su Cesare Battisti, che da trentino mi interesserebbe moltissimo, ma subito si cade nel triviale dibattito «traditore sì-traditore no» e quindi la politica stessa si guarda bene anche solo dall'ospitare nelle sale di palazzo un convegno su questo personaggio.

Ma cosa dovrebbe essere oggi e in prospettiva l'autonomia, al di là della narrazione e dei riferimenti ai valori trentini (che sinceramente non vedo molto diversi dai valori veneti o piemontesi o umbri)? Non apro un dibattito sulle motivazioni, troppo complesso e scivoloso. Preferisco concentrarmi sul senso dell'autonomia, che io vedo strettamente legato alla capacità di autogoverno, di definire al nostro interno le regole sulle quali gestire la nostra comunità.

Autogoverno dovrebbe essere espressione e conseguenza diretta della partecipazione, del sentirsi parte attiva di un territorio, con un esercizio quotidiano, diffuso e consapevole di questo autogoverno. Io penso che, da questo punto di vista, gli ambiti di autonomia politica non siano in sostanziale pericolo.

Certo, ci sono frequenti ricorsi alla Suprema Corte, ogni tanto c'è qualche leggina che mette un piedino all'interno della palizzata e che provoca una reazione quasi pavloviana nel politico di turno, però sono intromissioni gestibili.

Altro discorso se invece andiamo a vedere il finanziamento del nostro autogoverno e qui sì, qualche pericolo lo vedo: le nostre disponibilità finanziarie sono molto minori del passato e in futuro non penso possano aumentare. In ogni caso non dobbiamo vedere l'autonomia solo nella dimensione finanziaria: questo aspetto rappresenta uno strumento e un vincolo, non un fine. Manca sempre il progetto.

Forse dovremmo aprire un po' la prospettiva. Se ammettiamo, per ipotesi, che l'autonomia non sia in sostanziale pericolo sul fronte romano, salvo il citato vincolo finanziario, nei confronti di chi dovremmo rivendicare questo essere autonomi? Oramai le vere decisioni, il quadro all'interno del quale costruire il nostro autogoverno, sono a livello europeo. E l'Europa non vede proprio le autonomie regionali, vede gli stati, a volte concede trattamenti speciali e limitati nel tempo, ma su specifici aspetti, ad esempio fiscali. E questo sì, a mio avviso è un problema.

Si cita De Gasperi, ma si trascura Juncker. Forse si potrebbe incominciare ad avviare un dibattito a livello europeo sulle autonomie regionali. A me interesserebbe moltissimo vedere in una giornata dell'autonomia una tavola rotonda con i governatori delle grandi regioni autonome europee (la Catalogna ed i Paesi Baschi, la Baviera, la Corsica e così via), con il presidente della Commissione europea o del Parlamento europeo. I temi potrebbero essere innumerevoli e soprattutto di prospettiva.

E ci sarebbe un confronto fondamentale per capire come gli altri territori autonomi vivono e gestiscono il loro status e come, partendo dalle loro tradizioni e dalle ragioni della loro autonomia, interpretano la futura evoluzione del loro status. Tra l'altro potremmo anche finalmente avere dei termini di paragone per capire quanto siamo effettivamente eccellenti.

Ma temo che in futuro dovremo accontentarci dell'ennesimo busto di De Gasperi, dell'aneddoto su Kessler e del compìto giurista che ci spiega l'articolo 43 comma 2 del nuovo statuto.

Michele Andreaus è professore di Economia aziendale all'Università di Trento

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