I trentini ignorano tedesco e autonomia

I trentini ignorano tedesco e autonomia

di Carlo Andreotti

Doveva venire un’insegnante di tedesco da fuori provincia per darci una grande lezione di autonomia. Sui tanti modi di difenderla, di promuoverla, di valorizzarla, a cominciare dai fondamenti stessi per i quali la nostra Autonomia, dopo il ventennio fascista e dopo la seconda guerra mondiale, si è rilanciata.

Mi riferisco all’appassionato articolo della professoressa Federica Ricci Garotti che individua tra le cause del decadimento della nostra autonomia l’insipienza della classe politica e la sottovalutazione dell’importanza della conoscenza della lingua tedesca. Un articolo che dovrebbe essere oggetto di dibattito e approfondimento nelle nostre scuole oltre che fra le forze politiche.

Impietoso il confronto con Bolzano.

Intendiamoci, non è che lo scritto della professoressa Ricci Garotti vada immune da censure, ma la sostanza è totalmente condivisibile. Vorrei solo aggiungere alcune considerazioni sulle colpe della politica e dei partiti che Ricci Garotti fa partire soprattutto dalla fine degli anni Novanta. Non so quando sia approdata all’Università di Trento come docente di lingua tedesca. Penso però che il suo giudizio sulla politica trentina e sui suoi protagonisti sia fortemente influenzato da quella data.

Se una lacuna può essere riscontrata nella sua analisi è proprio il mancato approfondimento sulla politica dell’immediato dopoguerra quando i politici di lingua italiana (diciamo pure i politici trentini) usarono sì lo strumento dell’Autonomia per far crescere il Trentino, ma lo usarono in maniera devastante per quanto riguardava i rapporti con Bolzano e la gestione della Regione, allora depositaria di uno statuto di Autonomia unitario.

Nulla fecero per ricostruire quel clima che aveva fatto di questo «Land in Gebirge» una terra dove popolazioni di lingua italiana, tedesca e ladina convivevano pacificamente, trovando del tutto naturale l’avvicendamento al potere di principi vescovo di lingua italiana e di lingua tedesca. Non a caso Carlo V scelse proprio Trento come sede di uno dei più importanti concili della storia della chiesa.

Nel dopo guerra, riconquistata la secolare Autonomia, ci fu una sola forza politica che tentò di ricreare quel clima, ritenendo vitale il rapporto con i cugini di lingua tedesca dell’Alto Adige, oggi Sudtirolo, cercando e ottenendo alleanze che tennero aperto il dialogo Trento-Bolzano e che portarono in dote all’allora Pptt (oggi Patt) per ben due volte un senatore di lingua italiana, eletto con i voti determinanti dei cittadini di lingua tedesca dell’Alto Adige. Un partito che paradossalmente proprio per questo fu accusato per anni di «donare sangue trentino ai tedeschi», accentuando sempre più quel solco che divideva Trento da Bolzano, sino ad arrivare al famoso «los von Trient», alla notte dei fuochi, alla revisione dello statuto e a una Autonomia non più unitaria, ma tripolare con la piena legittimazione della due province e l’inevitabile indebolimento della Regione, ritenuta dagli altoatesini una camicia di forza di cui liberarsi.

La nascita dell’autonomia tripolare non portò certo a un riavvicinamento Trento-Bolzano, ma soltanto a due province che tendevano ad andare ciascuna per la propria strada senza un obiettivo comune che soltanto una più oculata gestione dell’istituto regionale avrebbe potuto garantire.
I militanti del Partito autonomista, sempre più ghettizzati, venivano costantemente dipinti come amici di quelli dalle «braghe de coram», dalle giacche di lana cotta e dal piumotto sul cappello con il ritornello, ad ogni competizione elettorale, di donare sangue trentino ai tedeschi.

Ci volle il crollo della Dc, conseguente alla tangentopoli nazionale, per portare gli autonomisti al governo della Provincia nella legislatura 1993/98. Nonostante il successo elettorale, la diffidenza nei loro confronti però non venne mai meno, complice anche una certa stampa. Quando l’assessore alla pubblica istruzione, Luigi Panizza, propose di rendere obbligatorio sin dalle elementari l’insegnamento della lingua tedesca e della storia locale si aprirono letteralmente le cataratte con le solite accuse: da quella di amici dei tedeschi, a quelle di retrogradi, di nostalgici dell’imperatore, addirittura di pantirolesi e con la conseguente esaltazione della lingua inglese.

Non fu facile gestire quel periodo neppure nei confronti di Bolzano, anche perché la Svp continuava a diffidare degli amici trentini. Il fatto poi che al governo della Provincia di Trento ci fosse un partito amico come il Patt probabilmente la indusse a schiacciare il piede sull’acceleratore per ottenere ulteriori concessioni a favore dell’autonomia sudtirolese a cominciare dall’abolizione della Regione. Proprio la difesa a spada tratta da parte del Patt dell’istituto regionale portò a un raffreddamento dei rapporti fra autonomisti trentini e sudtirolesi, anche se in quel periodo nacque e prese piede l’idea dell’Euroregione trentino-tirolese, avversata con ogni mezzo dalla forze di sinistra, perché letta in chiave unicamente tirolese (gli venne contrapposta per bocca di Lorenzo Dellai, poi convertitosi lui stesso all’idea euroregionale, una non meglio identificata Comunità della Alpi, comprendente anche Belluno).
La vera svolta ci fu però agli inizi degli anni duemila con la riforma costituzionale che cancellò di colpo l’atavico antagonismo fra le forze del centrosinistra italiano e la Svp. Pur di poter votare in Trentino con un sistema elettorale diverso rispetto a quello dell’Alto Adige/Sudtirolo, la maggioranza di centrosinistra acconsentì a dare un ulteriore colpo all’istituto regionale: la Regione da ente autonomo e sovrano, diventava subordinato alle due province autonome di Trento e di Bolzano dalle quali era formata; Province che eleggevano per proprio conto e con proprie leggi i rispettivi consigli la cui unione a sua volta avrebbe dato vita al Consiglio regionale. Fatte queste precisazioni rimane quanto denunciato dalla professoressa Ricci Garotti e cioè la mancanza di una cultura veramente regionale e bi/trilingue in Trentino, una provincia che si allontana e si impoverisce sempre più rispetto a Bolzano.

Stante il clima descritto, i sostenitori dell’inglese hanno avuto vita facile. Intendiamoci: nessuno disconosce l’importanza dell’inglese, linguaggio internazionale che permette di operare in tutto il mondo e dialogare con chiunque (non soltanto con computer, tablet e smartphone), ma quando si tratta di scendere nel concreto, di trovare un posto di lavoro nella propria terra, di relazionarsi con i nostri vicini di casa con Bolzano, Innsbruck, Monaco di Baviera, con l’intero mondo tedesco, allora la lingua di Goethe diventa non soltanto preziosa, ma indispensabile. Indispensabile soprattutto se si vuole davvero ricostruire una mentalità regionale al di là e al di sopra dei piccoli interessi di bottega che privilegiano sempre il particolare rispetto ad una visione aperta, moderna e realistica delle cose.

Bolzano nel frattempo, terra da sempre bilingue, ha dato vita alla propria università trilingue. In Trentino (piccola speranza) ha preso avvio il progetto trilinguismo nelle scuole, ma anche questo, se non supportato da una convinta azione educatrice e culturale, destinato ad avere il fiato corto. E in ogni caso recuperare il tempo perduto sarà veramente arduo.

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