Macron: un freno al populismo

Macron: un freno al populismo

di Gianni Bonvicini

È andata come si prevedeva. Il primo turno delle presidenziali francesi ha confermato i sondaggi della vigilia. Il duello finale sarà fra il centrista Emmanuel Macron (23,9%) e la «pasionaria» del Fronte Nazionale, Marine Le Pen (21,4%).

Semmai a stupire (e a tranquillizzare) un po’ è stato il buon vantaggio ottenuto da Macron, giovane ed inesperto politico di una Francia moderata e moderna. In attesa del secondo e decisivo turno di ballottaggio fra due settimane, queste elezioni ci spingono a fare alcune riflessioni che valgono non solo per la Francia ma per altri paesi europei, fra cui il nostro.

La prima è che escono sconfitti e quasi scompaiono i due partiti tradizionali della storia repubblicana francese: i socialisti del presidente uscente Hollande toccano il minimo storico con un misero 6,3% del candidato Hamon.

Ma neppure i gollisti possono dirsi soddisfatti per il terzo posto di Fillon che con il 19,9% esce dalla competizione per la presidenza. Si affermano invece un quasi sconosciuto Macron che in pochi mesi ha creato un movimento di centro (En Marche), raccogliendo consensi sufficienti per piazzarsi al primo posto. Neppure il Fronte Nazionale della Le Pen è un vero e proprio partito, ma piuttosto un movimento di destra estrema e di protesta che occupa lo spazio lasciato vuoto dai gollisti. Insomma i partiti tradizionali fanno oggi una grande fatica a rappresentare la nostra società con le sue paure e frustrazioni.

È un problema che tocca anche altri paesi, dalla Spagna dei Podemos all’Italia del Movimento 5 Stelle, dove l’incapacità dei partiti di affrontare la più grave crisi economica e politica del dopoguerra ha fatto nascere forze alternative.

La seconda riflessione è che nelle prossime due settimane assisteremo ad una battaglia campale fra due posizioni diametralmente opposte, una vera e propria campagna elettorale in bianco e nero. Da una parte la Le Pen che affronta il tema della paura dei cittadini francesi con una ricetta di chiusura totale del paese all’interno delle proprie frontiere: cancellazione dell’area di libero movimento di Schengen, referendum per l’uscita dall’Euro e quindi dall’Unione europea, lotta alla globalizzazione con misure di autarchia economica, respingimento degli immigrati ed espulsione degli islamici radicali, sospettati di simpatie per l’Isis. Dall’altra, il centrista Macron propone esattamente il contrario, salvo sul tema della lotta al terrorismo dove le posizioni sono certamente di grande severità nei confronti degli estremisti. Ma sul resto, una Francia pronta a sfruttare al meglio i vantaggi della globalizzazione con ricette di riforme economiche interne e di un approccio liberista e competitivo negli scambi commerciali internazionali.

Tuttavia ciò che stupisce di più delle proposte di Macron è il convinto appoggio all’Unione europea e ad un suo ulteriore sviluppo in termini di maggiore integrazione. In tempi in cui è di gran moda sparare contro Bruxelles e l’UE, il coraggio di Macron su questi temi ha del temerario. Il fatto che il voto lo abbia premiato è davvero una buona e inaspettata notizia, anche ricordando le grandi delusioni che la Francia ha riservato nel passato all’Europa con le sue posizioni scettiche e nazionaliste. Se quindi Macron riuscirà ad assicurarsi la presidenza, cambieranno molte cose in Europa.

Qui subentra la terza riflessione: vincere nel nome dell’UE significherà innanzitutto contribuire a depotenziare il grande vento del populismo che sembrava ormai crescere incontrastato nei nostri paesi. I segnali di un suo rallentamento si erano già avvertiti in Austria nelle elezioni presidenziali e in Olanda con la sconfitta del nazionalista e xenofobo Gert Wilders. Ma è ovvio che se un segnale di questo tipo dovesse arrivare dalla Francia il suo impatto sarebbe ben più potente e significativo. C’è quindi da sperare che le dichiarazioni di sostegno a Macron che sono venute dagli sconfitti Fillon e Hamon, rappresentanti dei due partiti storici francesi, si trasformino in voti contro il populismo e in favore dell’Europa. L’ampiezza in percentuale, più o meno consistente, dell’eventuale vittoria rappresenterà la cartina di tornasole del futuro ruolo della Francia nell’UE.

Qui si inserisce la quarta ed ultima riflessione. Un Macron presidente rappresenterà un enorme aiuto anche per Angela Merkel alle prese con le prossime elezioni di ottobre. La sconfitta dei socialisti francesi non è in effetti un buon viatico per il contendente socialdemocratico alla cancelleria Martin Schulz, come non lo è in genere per la sinistra europea, dai laburisti inglesi ai socialdemocratici spagnoli, in ritirata nei vari contesti politici nazionali.

Si rafforzano in genere le forze moderate, il che è una bella notizia per la Merkel. Se quindi sia Macron che la Merkel riusciranno ad assicurarsi una chiara vittoria, sarà possibile rivedere all’opera quello che tradizionalmente è stato il motore dell’UE: un accordo equilibrato fra Parigi e Berlino. Non quindi, come in questi ultimi anni, un predominio quasi incontrastato della Germania su tutti gli altri, ma una maggiore condivisione delle responsabilità nel cuore dell’Europa.

Vediamo quindi se questo primo tassello di un nuovo discorso europeo riuscirà davvero a partire da Parigi: le sorprese elettorali di questi ultimi mesi, dall’elezioni di Trump alla sconfitta referendaria di Renzi, non ci permettono di dare nulla per scontato, neppure una vittoria di Marine Le Pen, che significherebbe esattamente l’opposto di quanto abbiamo descritto. Ma come ben sappiamo dalla accidentata e contrastata storia dell’Europa non sempre il vento soffia in direzione contraria: forse con le elezioni francesi soffierà finalmente in favore.

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