Difendersi dalle bufale

di Pierangelo Giovanetti

M artedì scorso il Congresso degli Stati Uniti, a maggioranza repubblicana, ha cancellato il divieto per i provider di internet di vendere le informazioni personali di chi naviga in rete. Appena il presidente Donald Trump controfirmerà l'atto, una delle poche tutele garantite a difesa della privacy online verrà meno, e le compagnie che forniscono il collegamento a internet potranno vendere indisturbate i dati personali dei cittadini, la cronologia di navigazione, l'uso delle app, l'elenco dei prodotti acquistati online e la localizzazione dell'utente. Non servirà alcun consenso: le informazioni verranno raccolte a insaputa di chi naviga in rete, per essere vendute alle aziende e alle agenzie pubblicitarie.
Già oggi, anche in Italia, i giganti della rete, Google e Facebook in testa, hanno libero accesso alla profilatura degli utenti, potendo schedare le abitudini di ciascuno, i gusti personali, le preoccupazioni relative alla salute, le tipologie di vacanze o di ristoranti preferiti fino agli orientamenti sessuali, religiosi, politici. È questo che ha fatto dei big di internet dei colossi mondiali più potenti degli stati, con capitalizzazioni immense (solo Facebook vale 300 miliardi di dollari) e accesso totale alle nostre vite, tanto da avere la forza e i mezzi ormai per indirizzare i comportamenti di milioni di persone, e di condizionarne le decisioni. Non solo di acquisto, ma anche le scelte politiche, sociali, culturali.
Un vero paradosso.
Internet, nata come sogno di libertà costruito dalla connessione fra gli individui e dalla intelligenza collettiva, si è trasformato in uno strumento a vantaggio di ristretti interessi economici e politici.
La rete non è il regno della libertà, ma ha padroni ricchissimi e potentissimi.

In un saggio pubblicato da Laterza dal titolo «Libertà vigilata», l'ex presidente del Mart Franco Bernabé ha evidenziato il potere enorme che dispongono «i padroni della rete», e i profitti immensi che ne ricavano dallo smistare il traffico, come fa il motore di ricerca Google, in maniera apparentemente neutra, ma in realtà totalmente controllata. Ciò avviene in un mondo di fatto senza regole, dove prevalgono i più forti, di dimensioni sovranazionali, con evasioni fiscali sterminate (da Apple a Facebook, da Amazon a Google), trainati da tecnologie sempre più sofisticate, solleando interrogativi profondi sul futuro della libertà ma anche della democrazia.
Forse è arrivato il tempo di smitizzare l'idea di internet come regno della libertà, luogo della democrazia diretta, dell'uno vale uno, della verità «se lo ha deciso la rete». Senza un uso consapevole, una formazione adeguata e una capacità di smascheramento delle bufale, delle false verità, delle fake news che infettano l'online e i social network, il rischio ormai concreto è quello di vivere in un mondo parallelo, facilmente manipolabile, dove il virtuale prevale sul reale, e le «verità alternative» imperversano rispetto alle verità accertate. Una rischio mortale per la libertà delle persone, ma anche per la tenuta della società, uccisa dal golem della democrazia diretta, dove l'opinione del premio Nobel sui vaccini vale quanto quella della verduraia all'angolo della strada, Umberto Veronesi sullo stesso piano dell'avvinazzato al bar Sport.
In questa battaglia di civiltà, l'informazione verificata, controllata, approfondita, non ridotta a spettacolo ma capace di analisi e di riflessione, gioca un ruolo centrale, fondamentale per le stessi sorti della democrazia.
La deriva di credibilità che ha investito l'intero sistema dell'informazione, dei media, della politica, della comunicazione, minati dalle «post-verità» e dalle notizie «alternative», può essere invece arginata e sconfitta.
È questa la convinzione, sostenuta con accurata dovizia di fonti e ricchezza di ragionamento, di un libro intelligente in uscita nelle librerie il prossimo 6 aprile, vergato dalla penna brillante e coinvolgente di Paolo Pagliaro, grande giornalista, già direttore dell'Adige e oggi coautore, insieme a Lilli Gruber, della trasmissione «Otto e mezzo».

Il titolo del libro è proprio «Punto», lo stesso della quotidiana riflessione curata da Pagliaro su LA7. Un manualetto agile, di nemmeno 130 pagine, edito per Il Mulino, che mostra con efficacia di argomentazioni i rischi che tutti noi stiamo correndo, e indica come fronteggiarli e in che modo difendersi.
A cominciare dalle falsità che, attraverso blog sulla rete e siti di pseudo-democrazia diretta, stanno avvelenando (o hanno già avvelenato) la politica, riducendosi a strumento privilegiato della lotta partitica usando il falso e la menzogna per attaccare e screditare l'avversario. Paolo Pagliaro evidenzia nel suo libro infiniti esempi, dalle elezioni americane che hanno portato alla vittoria di Trump, alla Brexit, alle balle quotidiane smerciate su siti politici di punta come il blog di Beppe Grillo. Proprio il padre padrone dei CinqueStelle, che tutti i giorni spara contro giornali e giornalisti accusandoli di faziosità, in base a inchieste indipendenti come quella di BuzzFeed News risulta essere costante diffusore di notizie false attraverso il suo blog e i siti controllati dalla Casaleggio Associati.
Pagliaro non risparmia critiche nemmeno ai giornali responsabili di aver contribuito in maniera sostanziosa a tale degenerazione dell'informazione, rincorrendo i social network e dando credibilità e autorevolezza a quelli che sono invece scambi di insulti, rutti e flatulenze su facebook o su twitter, spacciandoli per dibattito degno di attenzione. Come pure l'informazione trasformata in fiction, o la televisione delle urla e della spettacolarizzazione del dolore. O l'uso manipolatorio delle intercettazioni delle inchieste giudiziarie, fatte filtrare da avvocati e da procure interessate al clamore mediatico, magari per ampliarne l'uso politico, le quali vengono date in pasto al pubblico per sollecitarne emozionalmente reazioni irose e scandalizzate.

Tra i tanti miti sfatati da Paolo Pagliaro nel suo libro, merita un posto di primo piano la favola della «disintermediazione», il teorema che ormai non servano corpi intermedi, che siano partiti, sindacati, ma anche giornali o esperti di vario genere, perché tutti possono parlare di tutto, sapere tutto e decidere di ogni cosa. La realtà dei fatti dimostra il contrario: in politica la disintermediazione segna il trionfo della demagogia, nell'informazione l'apoteosi dello spontaneismo e del qualunquismo populista, in cui le responsabilità sono soltanto degli altri in un narcisismo sconfinato.
È il «Narciso al potere», come lo chiama Pagliaro. L'idea che non servano più le analisi sugli avvenimenti, lo scavo su una notizia, il controllo della veridicità di quanto affermato da un politico o da un qualunque masaniello dei movimenti di base o dei comitati di protesta. O meglio, ciascuno può farlo per conto proprio, senza bisogno di un giornalista, di un esperto, di qualcuno che abbia gli strumenti per farlo.
Nonostante la crisi in atto dell'editoria e dell'informazione professionale, Pagliaro è ottimista. L'investimento sull'informazione di qualità è la via d'uscita, e anche nei mass media - come è già avvenuto per l'abbigliamento, il cibo e altri beni di prima necessità - ci sarà una divaricazione fra informazione generalizzata, di massa, superficiale, quantitativamente strabordante ma insignificante per capire i fatti, e un'informazione di più alto livello, più costosa ma indispensabile, con più analisi che opinioni, più fatti che verità alternative. È questa la strada da percorrere, anche per i giornali.

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