Boom dei prodotti senza glutine

Boom dei prodotti senza glutine

di Michele Pizzinini

Secondo la Relazione annuale del Ministero della Salute, presentata recentemente al parlamento, il numero dei celiaci in Italia a fine 2014 era di circa 172.000 soggetti. In realtà sappiamo che la prevalenza della celiachia in Italia è dell’1%, pari a circa 600.000 soggetti, dunque per ogni celiaco diagnosticato ce ne sono almeno 2-3 che non sanno di esserlo. Altro dato interessante presentato recentemente ci ha informati che le persone che acquistano prodotti senza glutine in Italia, a fronte dei 172.000 celiaci, sono circa 3 milioni e complessivamente gli acquirenti di prodotti «free from» ovvero del “senza qualcosa”: senza glutine, senza lattosio, senza zuccheri aggiunti, senza proteine del latte, ecc. sono circa 6,8 milioni per un giro di affari di circa 545 milioni di euro all’anno. Questo non è un fenomeno solo italiano ma mondiale. Pensate che il mercato del «gluten free» negli Stati Uniti vale circa 4 miliardi di dollari!

In genere si tende a considerare questa nuova consuetudine come un fatto di moda, ma sembra strano che la gente spenda 3 o 4 volte di più del necessario, per acquistare dei prodotti che spesso non hanno nemmeno un sapore tanto gradevole, semplicemente per un fatto di moda. Forse sarebbe meglio chiedersi se effettivamente chi acquista questi prodotti ne tragga un beneficio reale, piuttosto che tacciarli di essere degli spendaccioni pieni di fantasie.

Spessissimo, i medici per primi tendono a liquidare i disturbi gastrointestinali come un problema di colon irritabile su base ansiosa: un fatto di alterata mobilità intestinale causata dallo stress. Recentemente una mia paziente che accusava dolori intestinali, e spesso scariche diarroiche, mi chiedeva perché mai lei avesse tanti disturbi, pur essendo una persona serena e soddisfatta, al contrario di suo marito che era stressatissimo e ansioso ma che riusciva a digerire anche i sassi.

La medicina ufficiale riconosce solo l’intolleranza al glutine, o celiachia, l’intolleranza al lattosio e le allergie alimentari, mediate da anticorpi particolari chiamati Immunoglobuline E o Ig E, e tutto il resto è considerato poco più che folklore. Il campo delle intolleranze alimentari è un campo minato, ma lo sdegnato disinteresse della classe medica lascia lo spazio alla gestione in maniera impropria e grossolana quei 6 milioni di italiani che fanno uso di prodotti «senza qualcosa» spesso inutilmente.

I test per intolleranze alimentari vengono fatti da sedicenti esperti di nutrizione, nelle palestre, nelle farmacie ma nella stragrande maggioranza dei casi, al test non segue poi una terapia dietetica adeguata, fatto salvo per alcune indicazioni piuttosto sommarie che costringono gli individui a privarsi di numerosi cibi spesso inutilmente.
In anni recenti la sensibilità al glutine è stata documentata con studi clinici seri e ben condotti, ma la diagnostica rimane sempre molto approssimativa.

Si è stimato che circa un 5-10 % della popolazione soffra di quella che in inglese viene definita come «gluten sensitivity» e che in italiano abbiamo tradotto come «sensibilità al glutine». Questa è una condizione diversa dalla celiachia, in quanto non è presente la predisposizione genetica, non sono presenti gli anticorpi necessari per fare diagnosi di celiachia e soprattutto la parete intestinale non presenta quell’infiammazione specifica causata dal consumo di glutine.

I disturbi delle cosiddette intolleranze non sono solo imputabili solo al consumo di cibi contenenti glutine o lattosio ma esiste un’ampia gamma di molecole dette FODMAPS, acronimo inglese che sta per «Oligosaccaridi, disaccaridi, monosaccaridi e polioli fermentabili», in sostanza zuccheri che causano fermentazione, presenti in cereali, legumi, mele, cipolle, ecc. e in genere in tutti gli alimenti di origine vegetale.

Anche nella mia pratica quotidiana faccio sempre più uso di diete molto selettive proprio per cercare di individuare se ci siano degli alimenti che causano i disturbi più disparati che possono andare dal semplice gonfiore, ai dolori addominali, dalla diarrea alla stitichezza, dalla cefalea alla dermatite, ecc. in tutti quei pazienti che sono stufi di sentirsi dire che sono stressati. «Chi è che non è stressato oggi?» – mi chiedono.

È noto che disturbi gastrointestinali talvolta insorgono dopo un uso frequente o prolungato di antibiotici. Sempre più frequentemente devo fare programmi alimentari integrati da «fermenti lattici» mirati, perché ci dimentichiamo che i batteri giusti spesso ci aiutano a digerire meglio.
Il nostro intestino è abitato da circa 100.000 miliardi di batteri, di almeno 1.000 specie diverse, per la stragrande maggioranza buoni, che ci aiutano a digerire, producono vitamine per noi e cooperano con il sistema immunitario nella difesa contro l’invasione di batteri o funghi nocivi, in sostanza ci danno una mano a mantenerci in salute.

Gli antibiotici uccidono batteri buoni e i cattivi indiscriminatamente alterando spesso il nostro microbiota, quella che una volta era chiamata la flora batterica intestinale. Questo problema si pone particolarmente nei bambini, che frequentando nidi e asili si ammalano spesso di bronchiti, tonsilliti, otiti, che devono essere curate con antibiotici.
Come considerazione finale potrei ricordarvi che il nostro corpo sa gestire con la massima facilità i cibi freschi e crudi che abbiano subito poche manipolazioni e trattamenti.

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