Patto Pd-Patt: la spartizione dell'A22

Patto Pd-Patt: la spartizione dell'A22

di Pierangelo Giovanetti

L’assemblea dei soci dell’Autobrennero ha eletto il nuovo presidente, l’avvocato Andrea Girardi, stimato professionista di area Patt. Insieme a lui nel consiglio d’amministrazione dell’A22 è entrato Luigi Olivieri, in quota Pd, già parlamentare per più legislature. E lunedì passerà nel comitato esecutivo.

Che le nomine nell’Autostrada del Brennero, un forziere da 300 milioni di euro l’anno capace di distribuire ai soci 32 milioni alla volta (bilancio 2015), fossero lottizzate dai partiti, non è una novità. Quello che non s’era mai visto, dimostrazione plastica del vuoto di visione della politica e dell’inconsistenza partitica a cui siamo arrivati, è la decisione di spartirsi la presidenza a metà: i primi 18 mesi andranno al partito Autonomista, gli altri 18 mesi a quello Democratico. Questo indipendentemente dalle capacità, dal merito, dal profilo dei candidati, dalla loro autorevolezza o esperienza manageriale. Nulla, non importa nulla. Non riuscendo più ad accordarsi su niente, Patt e Pd si spartiscono le spoglie a metà: un pezzo di poltrona a ciascuno, alla faccia delle strategie future di Autobrennero, del rinnovo della concessione, della partita decisiva del tunnel del Brennero.

Soprattutto alla faccia dei cittadini, già increduli nell’assistere allo squallido spettacolo quotidiano di una coalizione di governo, eletta a stragrande maggioranza dei trentini, che litiga ogni mattina su tutto e per tutto, incapace di dare un’idea di squadra e di obiettivi comuni, dove presidente e vicepresidente sono separati in casa, non si parlano più da tempo, e non c’è giorno che Dio manda in terra in cui non si registrano stilettate polemiche e veleni reciproci.
Se questo è il buongiorno della coalizione dopo le «verifiche di maggioranza» e la ritrovata intesa, stiamo freschi. Purtroppo per il Trentino non c’è nulla di buono all’orizzonte, pur sapendo tutti - a cominciare dagli interessati - che l’alternativa all’attuale coalizione è il vuoto, lo scioglimento del consiglio provinciale, il rischio di commissariamento da Roma, il ridimensionamento dell’Autonomia in tempi in cui si ridefiniscono i rapporti Stato - Regioni, anche a livello di Statuto.

Come se non bastasse, «l’operazione Cencelli» piomba sull’opinione pubblica in uno dei momenti di maggior distacco fra cittadini e classe politica, a Roma come a Trento, in cui la credibilità di chi ricopre le istituzioni è minata quotidianamente da malaffare e da inettitudine, alimentando a piene mani populismo e demagogia chiassosa come tragica risposta alla degenerazione della politica. Ma che idea di «bene comune» si può fare un giovane che si affaccia all’età del voto, di fronte a questi trucchetti da tramaccioni di quarta categoria, usi al retrobottega più che alla Politica con la «p» maiuscola? Che immagine dei partiti, della coalizione, del centrosinistra autonomista può uscire da questo sgorbio abortito, preteso o proposto per tacitare il Partito democratico, in bulimia di poltrone e di ruolo? Che profilo di rilancio alla coalizione pensa di dare il presidente Ugo Rossi, partorendo soluzioni di questo tipo, che neanche nella Prima Repubblica - dove tutto era lottizzato - si sarebbe immaginato di escogitare?

Senza nulla togliere all’avvocato Luigi Olivieri e alla sua lunga militanza politica, ma è questo il volto nuovo e il profilo di competenza che il Partito democratico riesce a dare come svolta nella politica provinciale, da opporre al nome voluto da Rossi? O il fatto che Andrea Girardi non sia una donna, come ha motivato il Pd in giunta regionale per esprimere la sua contrarietà?
Probabilmente il Partito democratico non farà molta strada, se pensa di contrastare o controbilanciare la linea del governatore Rossi, tirando fuori il primo dei non eletti alle elezioni provinciali come asso nella manica. Forse gli servirà a farlo zittire nelle rivendicazioni contro la chiusura del punto nascite di Tione, ma nulla di più.

E il presidente Rossi non andrà da nessuna parte se crede di risolvere i problemi, semplicemente moltiplicando le poltrone e le indennità di sottogoverno, per far contenti un po’ tutti. Non è questa la discontinuità di cui il Trentino aveva bisogno, nell’epoca delle risorse ridotte e della messa in discussione dell’Autonomia da parte delle altre regioni e del governo nazionale.
Tanto più giocando sulla pelle dell’Autobrennero, l’asse strategico del futuro regionale di questa terra, di fronte a un passaggio così delicato come il rinnovo della concessione per altri trent’anni, non ancora portato a casa fino alla trasformazione dell’A22 in società totalmente pubblica; e di fronte alla vera sfida dei prossimi decenni, l’investimento di 8-10 miliardi per il tunnel del Brennero che avvicinerà nord e sud Europa, in un’epoca in cui gli stati chiudono invece le frontiere.

Ieri nell’assemblea dei soci nessuno ha detto niente e ha chiesto niente sullo sciagurato «patto della staffetta», siglato dietro le quinte da Rossi e Olivi. Confidiamo in una resipiscenza della politica, in nome dell’Autobrennero e del futuro del Trentino. O per lo meno, in un sussulto tardivo di dignità. Confidiamo che la staffetta non abbia mai a venire, seppellendo una volta per tutte l’idea che la politica sia solo miope spartizione, e non visione del domani.

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