Alpini e Schützen insieme all'adunata

Alpini e Schützen insieme all'adunata

di Pierangelo Giovanetti

Mancano quasi tre anni e non si sa ancora se si terrà a Trento, eppure l'Adunata degli Alpini del 2018 sta accendendo gli animi e dividendo nuovamente, a cento anni di distanza, il Trentino in due parti contrapposte: irredentisti e austriacanti, Alpini e Schützen. Un secolo non è bastato per raggiungere una «memoria condivisa», una comprensione delle ragioni storiche degli uni e di quelle degli altri, ricomponendo la società e il pensiero collettivo dei trentini in un'identità comune, che comprende sia l'una che l'altra dimensione della storia e della cultura di questa regione.
Certo, il 2018, l'anniversario della fine della Guerra e del passaggio del Trentino all'Italia, costituisce una data assai sensibile, fortemente evocativa, per gli uni e per gli altri. Sia per quanti possono essere tentati da un uso celebrativo ed esaltatorio del centenario della cosiddetta «Vittoria», sia per quanti vi leggono l'inizio di lunghi decenni di «epurazione della memoria», e quindi dell'identità, in senso nazionalistico e retorico.

Di tale forte carica simbolica del 2018, gli Alpini devono sicuramente tener conto di fronte alla decisione di ospitare la tradizionale adunata delle Penne Alpine a Trento, cento anni dopo l'ingresso dei cavalleggeri in città e l'innalzamento del tricolore sulla torre del castello del Buonconsiglio. Soprattutto vanno valutati e soppesati bene modi, toni e gesti, in cui eventualmente verrà organizzata l'Adunata. Infatti può essere anche l'occasione - e verrebbe da dire: finalmente - per una riconciliazione della memoria, prima ancora che degli animi, e la chiusura una volta per tutta di una ferita che non ha più ragion d'essere in un'Europa delle regioni e delle minoranze, oltre che degli Stati. Non ha ragion d'essere tanto più nella storia di un popolo, figlio dell'incontro delle due culture, italica e tedesca, ponte fra Nord e Sud, in una sintesi unica e caratterizzante, che è l'identità di questo lembo di terra fra i monti, l'identità trentina.

Purtroppo gli ultimi anni, e l'esaltazione esasperata di simboli e personaggi in contrapposizione ad altri in un uso politico scellerato della storia, non hanno aiutato a far incontrare le «memorie separate». Anzi, nell'ultimo quindicennio si sono accentuate le differenze, con un pericoloso inasprimento di linguaggi ed una strumentalizzazione di figure storiche da Cesare Battisti ad Andreas Hofer, che ha portato al clima attuale. Il centenario della Guerra, che doveva servire a «fare memoria» e portare ad un cammino di incontro e di riconciliazione (aiutati anche da autorevoli e approfondite ricerche storiche e dall'abbondante pubblicistica al riguardo, per lo meno quella seria e documentata), finora non ha sortito effetti positivi. Si è ridotto ad una spettacolarizzazione coreografica di trincee e camminamenti della guerra ad uso turistico (perfino il «rancio del soldato» è stato inventato), senza portare ad una maturazione delle coscienze. Occorre pertanto colmare il fossato, e questi tre anni che ci separano dal novembre 2018 possono essere il tempo propizio per una presa di coscienza comune ed una riflessione profonda su tale dimensione plurale dell'identità trentina.

A chi sventola la bandiera di Andreas Hofer per giustificare una presunta «tirolesità integrale» del Trentino, va ricordato che l'identità di questa terra si è sviluppata dialetticamente in un incontro fra Nord mitteleuropeo e Sud latino ben prima dell'avvento dell'oste della val Passiria, che peraltro dalle nostre parti ebbe un seguito alquanto limitato e circoscritto. E non può essere ridotta al «mito degli Schützen» e all'insurrezione del Tirolo del 1813, dove la presenza dei volontari trentini fu del tutto insignificante. Se Trento è l'ultima città tedesca e la prima italiana, come tutti i viaggiatori da Albrecht Dürer in poi hanno sempre riconosciuto è perché fin dal Medio Evo aveva radici italiane e tedesche. Ai tempi del principe vescovo Johannes Hinderbach nella seconda metà del '400, Trento era bilingue e aveva i suoi quartieri tedeschi (contrada todesca).
Le maggiori famiglie nobiliari trentine erano intrecciate con la nobiltà salisburghese, bavarese o boema. Pensiamo solo ai Lodron o ai Thun, per far dei nomi. Che sono stati parte della costruzione della storia europea, avendo il Trentino come culla feconda. Il Clesio portò il Concilio della Chiesa a Trento perché era cerniera fra Impero e Papato, fra mondo germanico e latino. Non certo in nome del Tirolo storico. E Trento e Praga vantano intrecci e radici molto stretti fin dai primi secoli del secondo millennio, come l'Aquila di San Venceslao - simbolo della nostra Autonomia - testimonia. 

A chi invece pensa che la Prima guerra mondiale sia stata l'ultima tappa del Risorgimento, segnando la «vittoriosa redenzione» di Trento e Trieste riportate alla madrepatria (come per buona parte del Novecento fu insegnato a scuola), va ricordato che il Trentino non aveva nulla a che fare con il Regno sabaudo, e per la maggior parte dei trentini nel 1918 ci fu l'«annessione» ad un'altra patria, diversa da quella a cui per secoli avevano appartenuto. Va riconosciuto che i nuovi arrivati pretesero di cancellare la storia precedente, di leggerla da vincitori, di occultare le tracce di un'appartenenza profonda che affondava in secoli di comunanza con le altre popolazioni del Tirolo storico. E così esaltarono la guerra e i suoi protagonisti in maniera arbitraria e partigiana.

Apposero lapidi che dividevano i trentini in buoni da menzionare e in cattivi da rimuovere. Celebrarono con abbondanza di retorica le gesta italiche, facendo finta di non sapere che la gran parte dei trentini aveva combattuto dall'altra parte, sotto le insegne dell'Imperatore. Riscrissero la storia secondo il mito irredentista, e non sulla base dei fatti. E nel vicino Sudtirolo fu ancor più grave, perché si cercò di sopprimere una cultura, cancellandone la lingua. La storia non va mai letta in maniera unilaterale e piegata a fini di parte. Va certo recuperato il ricordo dei 60.000 Kaiserjäger e Landesschützen inquadrati nel XIV Corpo d'Armata insieme al resto delle truppe tedesche. Va precisato che la maggior parte delle popolazioni, contadine e valligiane, era austriacante e fedele al cattolico Cecco Beppe, e non alla massonica e liberale Casa Savoia.
Ma non può essere dimenticato che il Trentino che arrivò alla Guerra era anche italiano, irredentista, imbevuto di patriottismo risorgimentale e convinto che solo con l'Italia avrebbe ritrovato le sue radici profonde. Era magari un Trentino minoritario, più rappresentato nella borghesia, nella cultura e nelle arti liberali che fra le file della popolazione. Ma anche quello era Trentino. 
Ora, cento anni dopo, non basta ritrovare le «memorie negate», e accontentarsi di «memorie separate». Occorre giungere ad una «memoria condivisa».

Se l'Adunata degli Alpini, che ormai da lungo tempo è occasione di incontro, di festa popolare, di dedizione verso gli altri e chi ha più bisogno e non di inneggianti proclamazioni, nel 2018 si terrà a Trento, dovrà essere luogo di incontro e di rappacificazione di queste due memorie.
Perché, quindi, non fare in modo che a sfilare per le vie di Trento e a cantare e stringersi le mani insieme, non siano entrambi, Alpini e Schützen, figli dello stesso popolo che prese parte alla guerra, alcuni su un versante altri sull'altro, in una ricomposizione delle parti, che non hanno più ragion d'essere divise? Perché non pensare a gesti simbolici e di forte impatto politico, per sanare una ferita che va avanti da troppo tempo? Sarebbe un grande passo avanti per la comunità trentina, ma anche per l'intera comunità italiana ed europea.

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