Non premiate le vacche senza corni

Non premiate le vacche senza corni

di Renzo Gubert

È tempo di «desmontegade», discese dall’alpeggio e incoronazione di regine e reginette (o di re e principi per i maschi) di bovini e caprini.
È un esempio di folclorizzazione di momenti di vita propri delle società rurali tradizionali, ora trasformati in attrazione turistica anche per prolungare la stagione estiva fin dentro tutto settembre.
Come tutte le folclorizzazioni, hanno un po’ di artificiale, ma rappresentano l’ultima trincea di conservazione, almeno una volta all’anno, della cultura dalla quale veniamo e che i più anziani tra noi, nelle aree di montagna, hanno anche vissuto.
C’è, tuttavia, una nota che a me sembra particolarmente stonata: le vacche (i tori non ci sono più, ormai macchine da seme per la fecondazione artificiale) e una parte delle capre maggiore di quella cui un tempo provvedeva la natura («caore mule») sono senza corni. Nella società rurale tradizionale i corni erano un tratto di identità degli animali. Ricordo che al mercato d’autunno, a Primiero, avere dei bei corni per una vacca era un pregio che ne faceva salire il valore. I contadini erano orgogliosi di avere vacche con corni ben formati (belli quelli delle razze autoctone, grigio-alpine e rendene) e non amavano che si vedessero loro animali con corni malformati o spezzati. La competizione dell’allevamento montano con l’allevamento industrializzato, specie di pianura (dove le vacche sono solo macchine da latte) sottolineando la qualità dell’alimentazione e dell’ambiente, sembra cedere nel caso della privazione dei corni: i sistemi di stabulazione sono i medesimi e i corni creano problemi nelle attrezzature e nei rapporti tra animali. Irrisolvibili?. Difficile che si convinca della migliore qualità del latte e della carne in ragione della presenza dei corni, ma forse si potrebbe percorrere la via del maggior benessere animale, che qualche conseguenza pur avrà. Del resto per il benessere animale si proibisce il taglio della coda e delle orecchie ai cani. Senza contare che anche i corni possono essere un elemento della folclorizzazione, che la rende più ricca di identità specifica. Mentre per le capre la privazione dei corni si nota meno, perché molti allevatori di capre fanno la loro attività non certo con spirito industriale e quindi lasciano i corni alle capre (e ai becchi), lo si nota assai più per le vacche.
Inviterei la Federazione Allevatori del Trentino a non premiare più vacche senza corni o quanto meno a distinguere i premi per le vacche da industria (ce ne sono anche in Trentino) da quelli per le vacche al naturale (ossia con i corni) di allevamenti montani, inventando magari un «premio speciale». Identicamente gli organizzatori delle «desmontegade» dovrebbero privilegiare la passerella in paese delle vacche e delle capre così come la natura le ha volute, o quanto meno riservare loro una sezione speciale del corteo.

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