Meno scuole, più scuola

di Pierangelo Giovanetti

Ultimi giorni di vacanza per migliaia di studenti trentini, piccoli e grandi. Con settembre si ritorna a scuola. E quest'anno prima del solito. L'istruzione è il vero patrimonio di un popolo, l'investimento strategico più importante per un territorio. Nella formazione si decide spesso il futuro di una persona, le sue possibilità o meno di realizzare se stesso, di dare corso ai propri sogni affinché si traducano in realtà. Con l'inizio del nuovo anno scolastico è doveroso quindi interrogarsi su quale scuola vogliamo per i nostri figli, perché siano preparati alla vita e alle sfide di un mondo sempre più complesso e sempre più globale. Quale scuola li aiuti a crescere, a sviluppare pensiero e idee, a maturare autonomia di giudizio e ricchezza di personalità. Insomma, quale scuola dia loro al meglio gli strumenti per decidere e costruire il loro domani. È da questo che si deve partire nel valutare ogni scelta che riguarda il processo formativo dei ragazzi. Non da altri punti di vista. Non dalle richieste dei sindacati, dalle pressioni di questo o quel sindaco, dalle esigenze delle categorie insegnanti o dei non docenti, dalle difficoltà iniziali (anche delle famiglie) nello sperimentare nuovi percorsi educativi, come il trilinguismo che ci si accinge a mettere in pratica. Ogni altra valutazione, pur legittima, pur supportata da alcune buone ragioni, passa in secondo piano. Ciò che conta è domandarsi cosa è meglio per gli studenti e per il loro cammino formativo. Di fronte al dibattito di questi giorni, e alle barricate innalzate da alcuni sindaci di piccoli comuni e da parte sindacale ci si deve domandare qual è il criterio che muove tali ragionamenti. 

Di fronte alle proteste per la chiusura di scuole con 8, 12, 15 alunni in tutto e al superamento delle pluriclassi (ben 69 ancora in Trentino), occorre chiedersi se alla base di ciò vi siano i ragazzi e la loro formazione (cioè una didattica di qualità), o altro. Mettere in primo piano «la difesa delle cattedre», o il «diritto» di un piccolo paese ad avere la sua scuola, anche se a cinque chilometri ve n'è un'altra e ci si può unire insieme, può essere capibile, ma non accettabile. Specialmente se questo comporta costi enormi, a detrimento di altri servizi o investimenti nella scuola; ma soprattutto se ciò costringe i ragazzi a dove stare in pluriclassi, senza poter condividere il percorso formativo con compagni di classe della propria età, dividendo l'insegnante fra programmi diversi per età diverse.

Tutti gli esperti di pedagogia sono concordi nel sostenere il limite formativo di tali esperienze, che non consentono all'alunno non solo di poter approfondire adeguatamente le materie e la conoscenza del programma, ma di poter «vivere» la scuola con un gruppo adeguatamente ampio di coetanei dentro cui maturare la propria personalità. Ora, che nel 2015 in una realtà che dovrebbe essere la più europea d'Italia, vi siano ancora decine di pluriclassi, dalla val di Fiemme alla val di Sole, come negli anni Cinquanta e Sessanta, con scuole come a Casatta in Valfloriana con 8 alunni di 5 classi d'età diverse costretti a far lezione insieme, non ha alcun senso compiuto se il criterio di scelta sono gli studenti. E su questo la Provincia - se ha veramente la formazione al centro dei suoi programmi come sostiene - non può transigere. La chiusura di tutte le pluriclassi deve essere un obiettivo primario della scuola trentina, per il bene dei ragazzi. Certo, va considerato il ruolo sociale che una scuola può svolgere all'interno di una comunità. Non si tratta quindi di accentrare tutti gli istituti in fondovalle (ovviamente), né di aggregarli tutti nel centro capoluogo di vallata. I servizi (scolastici, sanitari, sociali, amministrativi, bancari, postali, eccetera) vanno distribuiti sul territorio, ma deve essere chiaro che non è più possibile che tutti i paesi abbiano tutti i servizi. Non è più sostenibile né economicamente, né in termini di qualità del servizio.

C'è chi avrà la scuola, chi l'asilo, chi il centro sanitario, chi l'anagrafe e chi l'ufficio postale. Questo è il compito che spetta ai nuovi comuni che si sono unificati, questo l'obiettivo che devono porsi le Comunità di valle. E dove c'è un paese, una frazione, che è più svantaggiata in termini di servizi, andrà individuato il modo di assegnare funzioni, creare socialità, portare iniziative. Questo deve essere il progretto di ridefinizione istituzionale del Trentino, il disegno che deve stare a monte delle varie unificazioni in corso (comunali, bancarie, sanitarie, ecclesiali, e ora anche scolastiche). Lanciare crociate per mantenere aperti istituti con una manciata di alunni è una battaglia già persa, perché va contro gli stessi ragazzi. Piuttosto sindaci e presidenti di Comunità si attivino in fretta per dare capo e coda a tali riorganizzazioni, per ridistribuire al meglio i servizi lungo le vallate, per individuare aspetti da sviluppare all'interno del paese cui viene meno l'asilo o la scuola.

C'è poi un aspetto che, dopo anni di vacche non grasse ma obese, con eccessi di spesa che hanno portato a distorsioni di pensiero prima che di azione pubblica, i trentini fanno fatica a capire. Oggi un euro speso da un parte, va a scapito di un euro speso da un'altra parte. Di fronte a risorse sempre più scarse, mantenere aperta una scuola con dieci alunni ha un costo, che per forza di cose deve tradursi nel taglio di un servizio pubblico da un'altra parte. O comunque nel non investimento in formazione, in dotazione di un laboratorio o in occasioni formative per gli stessi alunni della scuola. Non si può più avere tutto, come è stato fino a ieri, quando vi erano fondi illimitati per bisogni limitati. Ecco che l'azione e l'intelligenza del sindaco e del politico (la visione?) deve portare a fare scelte, che siano lungimiranti per il futuro. Piuttosto che opporsi alla chiusura di una pluriclasse, è forse più di prospettiva battersi perché la scuola del paese vicino (che accoglierà anche i propri ragazzi), abbia strumenti di lavoro all'altezza del compito, insegnanti preparati, possa offrire occasione di studio all'estero o supporti adeguati per affrontare il trilinguismo.
Anche perché, ricordiamolo, stiamo parlando di chiusura di scuole materne con meno di 20 bambini, se c'è un'altra sede a meno di 5 chilometri; e di scuole elementari con meno di 40 studenti, se c'è un'altra sede a meno di 5 chilometri.
Forse è giunto il tempo di ribaltare la prospettiva quando si parla di scuola.

Al centro non possono più esserci le esigenze delle categorie lavorative, i diritti sindacali del singolo, le rotazioni continue dettate dalle graduatorie. E nemmeno le pretese di questo o quel politico, che magari ha mal programmato l'azione amministrativa riversando inutilmente milioni di euro in istituti che per forza di cose verranno presto chiusi, come a Masi di Cavalese. Al centro deve esservi solo lo studente, e le sue esigenze formative. Il quale ha bisogno forse di meno scuole, ma più scuola.

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