Le debolezze di Donata

di Pierangelo Giovanetti

Due sono le debolezze di cui ha pagato il conto Donata Borgonovo Re, rimossa ieri da assessore provinciale alla Sanità.
Primo: non saper far politica. Cioè avere ben presente che quando si ha in mente un obiettivo da raggiungere, occorre creare le condizioni e il consenso per realizzarlo. In politica le «salvatrici del mondo», pasionarie o giovanne d'Arco che siano, sono osannate dalle folle ma solitamente non portano a casa alcun risultato concreto.
Secondo, non avere alle spalle un partito, cioè una squadra, ossia una linea politica. In quel guazzabuglio con permanente propensione al suicidio che è il Pd trentino oggi, vocato più a sessioni onanistiche continue e garruli solipsismi, che a elaborare un'idea comune e trasformarla in azione politica, ciascuno può permettersi di fare tutto o il contrario di tutto, anche i dilettanti allo sbaraglio, senza che nessuno dica niente. O aiuti a trasformare un'azione personale in un atto politico collettivo.
Tradotto in altre parole, non è un partito ma al massimo un contenitore di ambiziose «prime donne» un Pd che stabilisce le politiche sanitarie in base a chi va all'assessorato: se c'è Donata Borgonovo Re va in un verso, se c'è invece Gigi Olivieri va all'opposto.
Ciò detto, l'ex assessora silurata, nel merito ha ragione da vendere.
Il riordino della sanità trentina, di cui abbiamo avuto in questo anno e mezzo annunci, balzi in avanti, frenate, stop and go e confusione permanente, è lo stesso deciso dalla precedente giunta Dellai con assessore alla Sanità Ugo Rossi, e perseguito nel dicembre scorso dalla stessa giunta Rossi con la famosa delibera sulla razionalizzazione della spesa. Riorganizzazione della sanità che è urgente e necessaria. 

C'è bisogno di configurare meglio la spesa per garantire una migliore assistenza di base sui territori, un ruolo chiaro per i presìdi di valle, e risorse liberate per garantire eccellenze sanitarie, non solo nei due grandi ospedali di Trento e Rovereto, ma anche nelle valli. Sapendo che non si potrà fare tutto, dappertutto (perché lo si fa male, e costa un sacco di soldi); ma bisognerà garantire un'assistenza di base qualificata sul territorio, e poi eccellenze specifiche in alcuni settori, in alcuni centri.
Del resto, che le mamme delle Giudicarie abbiano già espresso il loro giudizio sul punto nascita di Tione è nei fatti: la maggioranza delle partorienti della Comunità delle Giudicarie non partorisce all'ospedale di Tione. Solo una minoranza sceglie quel punto nascita. E quando c'è in ballo la salute, tutti fanno la scelta di maggiore sicurezza, maggiore esperienza e maggiore affidabilità, anche se c'è da fare qualche chilometro in più per ottenerla.
Purtroppo, aver annunciato solo i tagli (e poi a spizzichi e bocconi), senza aver costruito un consenso all'interno della propria maggioranza di governo, non indicando un progetto complessivo e positivo (cioè evidenziando quello che il cittadino guadagna, non quello che perde), ha fatto sì che sia stato un anno e mezzo buttato. Su tutti i fronti: dal Not (si fa non si fa, serve non serve, vantaggi svantaggi) all'Azienda sanitaria (ridicoli gli sgambetti di questi mesi fra assessorato e Azienda sanitaria), agli ospedali periferici.

Ora il «reset» di giunta è avvenuto. A dir la verità, poteva essere un po' più complessivo, toccare pure qualche altro assessorato estremamente bisognoso di tagliando e revisione, se non addirittura di sostituzione di guidatore. Anche perché l'incerto funzionamento e l'inconcludenza dell'azione politica in questo anno e mezzo non si è visto soltanto alla Sanità, ma anche in altri ambiti di competenza.
Vedremo se basterà questo azzeramento delle funzioni e ripartenza punto a capo, per ridare scatto ad un esecutivo provinciale che, in più settori ha bisogno di rilancio, visione e capacità decisionale.
Sicuramente spetta al governatore Ugo Rossi farsi carico del compito di propulsore, motore e amalgama della maggioranza di governo. Ma anche a tutti e tre i partiti di maggioranza è chiesta tale convinzione, sostenuta e decisa, finendola una volta per tutte con questi ormai insopportabili bisticci, frizioni e provocazioni fra esponenti e partiti all'interno della coalizione. Da questo punto di vista è stato vergognoso lo spettacolo che ha dato la maggioranza di governo, eletta nel 2013 con un ampio mandato dell'elettorato e numeri imponenti in consiglio, e ridottasi un giorno sì e l'altro pure a spararsi addosso o a difendersi dal fuoco amico. È questa cattiva politica che alimenta l'anti-politica, e scatena il fastidio e l'insofferenza degli elettori che poi - qualche volta con buone ragioni - non vanno più a votare.
All'interno della coalizione va preso atto che alle primarie ha vinto Ugo Rossi (ed è grottesco doverlo ripetere due anni dopo). Quindi nel Pd chi ha perso deve una volta per tutte rielaborare il lutto, e andare avanti. Non stare lì continuamente a piangersi addosso, o a rimuginare su quello che poteva essere e non è stato. Stessa cosa nell'Upt, che deve trovare una sua ragion d'essere. Mostrarsi elemento dinamico e qualificante dentro la coalizione, non il controcanto romano di piazza Dante. Altrimenti si sciolga, e un po' vada col Pd e un po' con il Patt. Ma non può perdurare questa instabilità continua, che non giova né all'azione politica, né alla risoluzione dei problemi. Tanto meno a indicare e tracciare le scelte strategiche dell'Autonomia per i prossimi anni.

Infine il Patt. Dovrebbe tenere bene a mente la favola di Esopo della rana e del bue: non è che a forza di gonfiarsi di aria diventa più grosso di tutti. Finisce solo per scoppiare.
Invece che raccattare i residui di terza categoria degli altri partiti, e piazzare mediocrità in ogni posto di sottogoverno, forse dovrebbe decidersi ad allevare classe dirigente se vuole essere partito di governo, e guardare lontano, non soltanto allo strapuntino dei consigli d'amministrazione mostrando un'ingordigia scomposta che la vecchia Dc sviluppò quando ormai era nella sua fase declinante, e il Psi quando si era trasformato in comitato d'affari.
Se qualcuno pensasse che la guerriglia continua di questo anno e mezzo interna alla maggioranza può sortire qualche sparigliamento delle carte (cambi di maggioranza, elezioni anticipate, ribaltamento dei rapporti di forza fra i tre partiti dell'esecutivo), va ricordato un dato di fatto: 1) non c'è alternativa a questa maggioranza, che dispone di 24 consiglieri su 35 in consiglio provinciale; 2) Ugo Rossi è il presidente della Provincia fino al 2018, perché qualunque ipotesi di crisi di giunta per arrivare a elezioni anticipate è il suicidio dell'Autonomia; 3) il Pd con nove consiglieri è perno (per lo meno numerico) della maggioranza, e non può esistere maggioranza politica senza il Pd; 4) qualunque ipotesi di allargamento al centrodestra è fantapolitica, perché non vi sono le condizioni numeriche (prima ancora che politiche) perché questo avvenga.
Se questo è il quadro, la maggioranza di centrosinistra autonomista ha il dovere di governare, e di farlo al meglio, smettendola di litigare al suo interno, raccogliendo tutte le energie per riformare l'Autonomia trentina e renderla competitiva alla sfida fra territori pur con cospicue minori risorse rispetto al passato. Alcune cose importanti e qualificanti in questo anno e mezzo sono state fatte: dalla riforma istituzionale (Comunità di valle e accorpamento dei comuni), a quella urbanistica (meno consumo del territorio e abbattimento degli ecomostri), dal trilinguismo al rafforzamento della scuola, dai rapporti positivi con Bolzano, migliorati e rinvigoriti, al ridisegno con Roma del sistema finanziario dell'Autonomia.
Ora occorre accelerare, ritrovando convinzione e slancio nelle ragioni dello stare assieme, e capacità di idee nuove, in grado di far fronte con ingegno e fantasia alla riduzione di quasi un terzo del bilancio provinciale rispetto ai tempi d'oro. Se si riesce a fare questo, allora il ricambio di giunta non è andato sprecato.

 

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