Genitori gay, ecco gli studi

di Anna Maria Speranza

Prof. Anna Maria Speranza
Psicologa, psicoterapeuta, Professore Associato di Psicopatologia dello sviluppo
Direttore della Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica
Facoltà di Medicina e Psicologia, SAPIENZA Università di Roma Via dei Marsi, 78 – 00185 Roma


Desidero rispondere alle diverse questioni che sono state sollevate dalle lettere cercando di chiarire in particolare alcuni punti.
Partiamo anzitutto dai dati sulla casistica nazionale: la cifra “considerevole” di 100.000 bambini cresciuti da genitori gay o lesbiche è stata diffusa in un report patrocinato dall’Istituto Superiore di Sanità1 e ovviamente non fa riferimento a bambini cresciuti da coppie omosessuali conviventi che, come riportato dai dati ISTAT 2012, sono certamente in numero esiguo. Vorrei sottolineare in proposito che la legislatura italiana non prevede riconoscimento giuridico alle coppie omosessuali (e quindi tanto meno alla genitorialità e alla possibilità di pianificare una gravidanza o di adottare un bambino) ed è quindi evidente che la maggior parte di questi bambini sono stati concepiti in precedenti unioni eterosessuali. Che poi nella realtà italiana il numero di bambini possa essere inferiore (o superiore) a queste cifre, nulla toglie alla necessità di prendere in considerazione il fenomeno.
Diverse lettere hanno fatto riferimento ai “numerosi lavori” che giungono a dimostrare una differenza nello sviluppo dei bambini cresciuti da coppie omogenitoriali. A fronte degli oltre 50 lavori pubblicati dal 1990 che NON trovano differenze significative nello sviluppo di questi bambini (prenderei in considerazione come punto di riferimento la rassegna di Biblarz & Stacey2 del 2010 che ne riporta 33), direi che si possono citare al massimo 3-4 lavori che riferiscono differenze (molti articoli sono solo critiche alle ricerche effettuate). E’ certamente utile considerare questi studi, ma senza ampliarne artificialmente il numero e soprattutto considerandoli nel merito, come cercherò di fare più avanti. Partiamo però dagli studi che avevo citato nel lavoro, criticati da alcuni medici in riferimento ai loro limiti metodologici. Non posso che concordare con questa rilevazione generale, peraltro accennata anche nel mio articolo, ritenendo però utili alcune precisazioni: l’omogenitorialità (come è stato per molti anni per l’omosessualità) è un fenomeno largamente sommerso il cui studio “in vivo” rende difficile l’applicazione di criteri metodologici astratti come ampi campioni, randomizzazioni, controllo delle variabili, ecc. Se questi limiti metodologici sono presenti negli studi “no difference”, non va meglio comunque per gli studi “difference” che vengono invece citati come più attendibili. Si tratta in questo caso sostanzialmente di due ricerche3,4 che vorrei commentare sia da un punto di vista metodologico che da un punto di vista della posizione pregiudiziale che mascherano.

I risultati dello studio di Regnerus, che dopo essere stati pubblicati hanno ricevuto oltre 200 lettere di critiche, sembrerebbero indicare che i figli di genitori gay e lesbiche presentano più problemi nei livelli di istruzione raggiunti, nelle relazioni di coppia, nella presenza di sintomi depressivi, nel maggiore consumo di tabacco e marijuana e una frequenza minore di eterosessualità esclusiva. Nonostante l’ampio numero di soggetti coinvolti nella ricerca vanno segnalati alcuni importanti bias metodologici: il gruppo dei figli di genitori omosessuali era costituito da persone che avevano dichiarato che il padre o la madre avevano avuto “almeno un rapporto omosessuale” nella loro vita; i figli di coppie omosessuali stabili erano pertanto in numero minimo (per la precisione 2). In questo caso dunque mancava il gruppo di interesse specifico che avrebbe portato a concludere che crescere in una famiglia omogenitoriale è associato ad una serie di rischi evolutivi. Direi anzi che mancavano anche una serie di considerazioni su quali variabili alternative (divorzio, separazioni, status socio-economico, caratteristiche della genitorialità, ecc.) potevano spiegare i risultati ottenuti.

La ricerca di Sullins, invece, è stata accolta come una “rivelazione” in grado di dimostrare scientificamente le problematiche dei figli cresciuti da coppie omosessuali. Chi ha avuto modo di leggere questo lavoro fino in fondo non avrà potuto fare a meno di constatare che tutto l’impianto della discussione è falsificato dai risultati stessi del lavoro che in definitiva sostengono che è il legame biologico tra genitori e figli a fare la differenza; di fatto lo stesso autore ammette che “il rischio generale per le famiglie same-sex è più elevato in confronto a due genitori biologici sposati e ridotto rispetto a tutte le altre strutture familiari eterosessuali” e che “la considerazione del legame biologico […] rende nulli tutti gli indici di rischio della genitorialità same-sex”.
Basterebbe forse una ricerca come questa a mettere in discussione l’istituto dell’adozione? Vale la pena tra l’altro di notare, come fa lo stesso autore, che anche nelle peggiori condizioni familiari esaminate dallo studio (non riferite all’omogenitorialità), la stragrande maggioranza di bambini non presentava un livello significativo di problematiche emozionali. Cosa che implicitamente sostiene quanto affermato da altri autori e cioè che se ci fosse un rischio significativo grave per lo sviluppo emotivo dei bambini, questo sarebbe emerso in maniera più evidente. Credo quindi che sarebbe giusto considerare, mettendo insieme tutti i diversi studi a favore o contro, che attualmente non ci sono studi attendibili che indichino che crescere in una famiglia omogenitoriale comporti esiti negativi per i figli.
    
Vorrei però sottolineare, contestualmente, che anche questi studi non sono esenti – come viene criticato per alcune ricerche “no difference” – da motivazioni ideologiche: lo studio di Regnerus ha ricevuto un finanziamento di 795 mila dollari da due fondazioni ultra-conservatrici ed è comparso sulla scena nel pieno della campagna elettorale per l’elezione del Presidente degli Stati Uniti, dopo essere andato incontro ad un referaggio dai tempi stranamente brevissimi ed essere stato compromesso dai conflitti d’interesse e dagli schieramenti politici dei referee coinvolti.

Il Reverendo Sullins, invece, della Catholic University of America di Washington, appartiene ad una istituzione scientifica chiaramente schierata contro i diritti delle persone omosessuali. Certamente questo non fa di per sé di questi autori dei cattivi ricercatori, ma non permette neanche di affermare con sicurezza che le loro ricerche siano esenti da posizioni pregiudiziali.

Tra le tante critiche esposte nelle lettere nessuna ha fatto riferimento alle condizioni di discriminazione a cui vanno incontro sia i genitori che i figli in assenza di riconoscimento giuridico. Mi sembra che questo sia un punto importante e largamente trascurato: i riconoscimenti giuridici e i diritti delle persone (omosessuali e non) possono avere un impatto significativo sulla salute mentale delle famiglie. Chi si occupa di bambini dovrebbe considerare che la genitorialità è un processo complesso, ma del tutto indipendente dal genere o dall’orientamento sessuale. A questo proposito, mentre non ritengo di poter affrontare il tema della maternità surrogata, non avendo a disposizione alcun dato a favore o contrario, penso sia importante chiarire almeno da un punto di vista generale altri aspetti significativi della genitorialità (non solo omogenitoriale).

Nessuno vuole per esempio negare l’importanza dell’allattamento al seno, ma certamente questa tematica non viene utilizzata quando si parla di genitorialità adottiva da parte di coppie eterosessuali oppure quando una madre, per difficoltà mediche o psicologiche, non riesce ad allattare. Non credo che nessuno si sognerebbe di dire che non può essere comunque un buon genitore. E credo che questo valga anche per quanto riguarda le opinioni dei maggiori psicologi che si sono occupati di bambini. Anzi, è proprio a partire dal pensiero di questi autori (Winnicott, Bowlby, ecc.) che mi chiedo se non sia più opportuno guardare alla genitorialità e al legame di attaccamento tra genitore e bambino secondo parametri più attendibili. Cosa fa di un individuo un buon genitore? E cosa permette ad un bambino di crescere sano? La biologia, il genere, l’orientamento sessuale di chi se ne prende cura o non piuttosto la sua capacità di amare e di occuparsi del bambino sostenendo il suo sviluppo? Come dice un altro autorevole psicoanalista, presidente della Società Psicoanalitica Italiana, la “funzione materna [e] funzione paterna [che] potranno essere esercitate in modo non necessariamente coerente con l’appartenenza biologica. […] Che ben vengano bambini di coppie che si amano e che siano capaci di buoni accoppiamenti mentali. Non sarà il sesso biologico dell’uno o dell’altro ad aver più peso ma le attitudini mentali dell’uno e dell’altro. I figli li faccia chi ha voglia di accudirli con amore. Ciò che conta in fondo è che ogni bambino abbia il suo Presepe, la sua festa, che sia accolto e amato come un prodigio”.

[1] Lelleri R (2006) (a cura di), Survey nazionale su stato di salute, comportamenti protettivi e percezione del rischio HIV nella popolazione omo-bisessuale. Report finale per l’Istituto Superiore di Sanità  <http://www.salutegay.it/modidi/risultati_della_ricerca/report_finale.pdf>.
[2] Biblarz TJ, Stacey J (2010), How does the gender of parents matter? Journal Of Marriage and Family, 72, 1, 3-22.
[3] Regnerus M (2012), How Different Are the Adult Children of Parents Who Have Same-Sex Relation- ships? Findings from the New Family Structures Study. Social Science Research, 41, 4, 752-770.
[4] Sullins DP (2015), Emotional Problems among Children with Same-sex Parents: Difference by Definition, British Journal of Education, Society & Behavioural Science, 7(2):99-120.
[5] Ferro A (2013), Nel presepe moderno anche le copie gay. Corriere della Sera, 6 Gennaio 2013, 33. Disponibile on line all’indirizzo: <27esimaora.corriere.it/articolo/nel-presepe-moderno-anche-le-coppie-gay>.

annamaria.speranza@uniroma1.it

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