La grande scommessa da vincere

La grande scommessa da vincere

di Paolo Micheletto

La grande scommessa. Da vincere. Altrimenti perde tutta l'Italia. Anche quella che sogna sempre e comunque, in maniera imperdonabile, che il Paese rimanga indietro, nel limbo, al traino degli altri. Cioè con l'immagine di un paese non autorevole, non organizzato, non affidabile. Cioè oscuro e incerto. La grande scommessa. Sulla bellezza. Sul saper fare. Sul riscatto. Sul futuro. Tutto questo rappresenta Expo 2015, oggi alla sua giornata inaugurale. Con l'apertura dei cancelli dell'esposizione universale, ospitata a Milano, l'Italia mette in palio se stessa. Credibilità. Autorevolezza. Prestigio. Credito. Insomma, l'Italia si gioca la faccia e solo questo dovrebbe autorizzare le tante animecritiche a fare un po' di tifo per la buona riuscita della manifestazione. È vero, non siamo in Champions League e non siamo allo stadio. Ma siamo davanti a qualcosa di terribilmente serio. Un evento che può ridare slancio al «sistema Paese» oppure affossarlo ancora di più.

Le premesse non sono delle migliori, inutile negarlo. Si arriva all'inaugurazione con gravi ritardi e dopo numerosi episodi di corruzione e inchieste giudiziarie. Per alcuni anni il «sistema Expo» ha dormito, con lentezze clamorose nell'avvio dei lavori: basti pensare che il primo bando in assoluto è stato pubblicato più di tre anni dopo l'assegnazione di Expo, e riguardava la bonifica del sito. I diversi governi di questi anni non sono stati troppo generosi nei confronti dell'evento, e più volte i finanziamenti sono stati tagliati o dirottati altrove.

Ma ora ci siamo e forse è giusto lasciarsi coinvolgere da un evento che ha già trasformato Milano in molti aspetti e che ha l'obiettivo di dare una spinta al Paese e di fare in modo che gli investimenti producano effetti non solo per i prossimi sei mesi, ma per un periodo molto più lungo. Siamo davanti ad un'occasione importante, un 2015 che finalmente porta buone notizie: l'Expo e il Giubileo «regalato» da Papa Francesco porteranno milioni di visitatori e quindi ricchezza. Il tutto in un periodo di lunga durata che ha visto una perdita progressiva del valore dell'euro rispetto al dollaro. E questa è una buona notizia soprattutto per il nostro export, con l'Italia che potrà vendere i propri prodotti all'estero a prezzi sempre più competitivi. Se si abbassa il «valore» della moneta europea, infatti, si riduce il prezzo che un americano dovrà sborsare per acquistare un prodotto italiano, francese o tedesco.

In questo modo si creano le condizioni per «aprire» il mercato internazionale e non è cosa da poco, visto che l'export supera il 25% del prodotto interno lordo. Ma i vantaggi legati al cambio dollaro - euro sono tali anche per i nostri concorrenti europei: per questo la «vetrina» dell'Expo diventa fondamentale per creare contatti e inventare nuovi canali di accesso ai mercati. Allo stesso modo, ci sono condizioni favorevoli per l'arrivo in Italia degli stessi visitatori Usa, attratti dal prezzo favorevole delle merci e dei beni tricolori. Se l'Expo verrà organizzata bene, lo vedremo da subito. Lo capiremo dal numero dei padiglioni aperti già all'inaugurazione, dalla tenuta del sistema dei trasporti e di accoglienza dei visitatori, dal numero dei biglietti che verranno staccati da oggi al 31 ottobre.

Ma ci sono effetti che si misureranno nel corso degli anni prossimi. Il primo settore nel quale l'Italia dovrà buona prova di sé nel «piantare» semi che porteranno frutti non immediati riguarda proprio quello centrale dell'esposizione, vale a dire il «sistema» dell'agricoltura, dell'enogastronomia, dell'alimentare. Gli sforzi non mancano, e anche il nostro «viaggio» avviato tra le eccellenze del Trentino (ricordiamo ai lettori l'uscita ogni domenica di due pagine speciali sull'«Adige») dimostra che in Italia ci sono migliaia di produttori che puntano prima di tutto su produzioni non invasive e di qualità, nel rispetto dell'ambiente e della salute. Ma l'Expo deve essere appunto l'occasione per ribadire che il made in Italy nel food è sinonimo di qualità, con i tanti prodotti esclusivi del nostro Paese che sono apprezzati in tutto il mondo ma che devono vincere la concorrenza tenendo altissima l'asticella del mangiare bene, della salute, della produzione rispettosa. Sembra un paradosso, ma l'Italia in tali settori esporta molto meno rispetto a quanto importa, e questo suona strano in un Paese con una buona disponibilità di materie prime e con una notevole predisposizione al «saper fare». 

E per quanto riguarda le esportazioni, vanno segnalate alcune «storture» del mercato, visto ad esempio che l'80% dell'export agroalimentare è legato a soli cinque paesi, tra l'altro ad un passo da noi, come la Germania, la Francia e la Svizzera (gli altri sono la Gran Bretagna e gli Stati Uniti). Ma mandare prodotti in Germania rappresenta ancora lavorare con l'estero? Dal punto di vista formale certamente sì, ma non dal punto di vista geo-politico, considerato il mercato unico europeo.


Expo 2015 rappresenta infine l'occasione per guardare una volta tanto oltre la siepe che abbiamo davanti. Di pensare globale e ricordarci le forti relazioni tra il nord e il sud del mondo, tra i cinque continenti e le realtà anche più diverse tra loro. Nel mondo ci sono 800 milioni di persone che soffrono la fame e due miliardi che hanno problemi di denutrizione: di fronte a loro c'è però mezzo miliardo di individui che sono malati di obesità; il pianeta ha le potenzialità per sfamare tutti con equilibrio ma questo non accade; l'emergenza acqua è ben lontana dall'essere risolta. Basterebbero questi argomenti per guardare a Milano con un po' di speranza, alimentata anche dalla presenza in contemporanea di 144 paesi sovrani, per raggiungere i quali sarà necessario percorrere solo i pochi metri di distanza che separano i loro padiglioni.

Le ultime ore non hanno portato buone notizie, con il rischio legato alla presenza degli antagonisti: occhi puntati in particolare sulla manifestazione di oggi chiamata «MayDay NoExpo». Gli apparati di intelligence e di polizia registrano segnali di effervescenza. C'è il rischio di scontri in piazza e di atti contro luoghi ad alto valore simbolico, dalla Scala al Duomo. «Renzi/ Expo è fragile. Attacchiamolo quando e dove possiamo fargli più male»: è uno dei tanti proclami che si leggono in rete sui siti antagonisti, dove c'è una vera e propria chiamata «alle armi» per il corteo. Come al solito, il rischio è che qualcuno all'interno della manifestazione intenda farla degenerare con attacchi fulminei: anche sulla capacità di una giusta (ed equilibrata) reazione delle forze dell'ordine si misura l'autorevolezza del Paese.

Il «seme» dell'Expo può portare a piante rigogliose oppure non attecchire per niente. Le prime impressioni sull'area milanese portano suoni, colori, profumi di speranza. Non tutti sono d'accordo, naturalmente, e nei prossimi mesi capiremo se si tratta di un carrozzone oppure di un treno verso il mondo.

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