In Trentino solo cultura assistita?

In Trentino solo cultura assistita?

di Pierangelo Giovanetti

L'annuncio da parte della Provincia di sostenere un progetto dell'editore Laterza per organizzare a Trento un ciclo di incontri su «L'Italia in guerra» a cento anni dal «maggio radioso» ha scatenato le proteste di scrittori ed editori trentini. Piazza Dante finanzia editori italiani e scrittori «non nostrani», invece che trentini doc: questa l'accusa. In realtà l'iniziativa di Laterza è un bel progetto, con un programma di qualità e autori di spessore, già sperimentato come format a Trieste nelle settimane scorse, che propone di leggere il conflitto mondiale dalla parte italiana, con relativi miti, propaganda e vittoria mutilata. Nello stesso tempo ha l'obiettivo di far vendere libri Laterza.

Il vero punto debole dell'iniziativa non è il poco trentinismo (ma la giunta Rossi non era quella delle derive pantirolesi?). Semmai il finanziamento della Provincia con 40.000 euro, che pone la domanda se la cultura deve essere sempre e soltanto finanziata da denaro pubblico, o se si possono trovare forme, modi, sponsorizzazioni «per fare cultura» fuori dal contributo provinciale. Questa è la domanda di fondo che editori e scrittori trentini dovrebbero porsi, non chiedere semplicemente che quei soldi vengano rigirati a loro invece che ad altri.

L'anestetizzante esercitato dalla Provincia - e dalle ingenti sue risorse - in questi anni, ha avvolto come una melassa l'intera società trentina, anche la cultura, rendendola dipendente dal denaro pubblico. E ora che le risorse sono in forte calo, il rischio è che non sia in grado di reinventarsi.  La cosa sta avvenendo in tutti i settori della cultura trentina. La vicenda del Mart è emblematica. Le minori risorse a disposizione costringono a ripensare l'attività del museo. Nel momento in cui serve offrire un mix di originalità, qualità, ma anche capacità di attirare il pubblico e quindi autogenerare finanziamento, la superpagata direttrice sbatte la porta e in diretta nazionale sputa sul Mart e la comunità trentina che ne ha finanziato i progetti, spesso sproporziati nel rapporto costi/allestimenti e pubblico in grado di richiamare.

Al fondo c'è la mancanza, nelle èlites intellettuali in primis, di concepire il «fare cultura» se non con soldi pubblici, cioè indipendentemente dai costi, dai gusti dei visitatori, dalle esigenze di mercato, dalla capacità di trovare sponsor privati, da una riorganizzazione delle strutture (eliminando spesso doppioni o gigantismi inutili), mettendo in sinergia le offerte. Tale incapacità non è solo trentina, anche se da noi particolarmente pesante perché tutto ruota intorno alla Provincia (checché ne dicano quanti pontificano, come Diego Schelfi, che in Trentino serve «meno concorrenza, meno idolatria di mercato e meno darwinismo sociale, e invece più intervento del pubblico in economia»).

Anche a livello nazionale persiste radicata l'ideologia che la cultura «deve essere di Stato», garantita dallo Stato, magari anche finanziata dallo Stato. Emblematica è la vicenda della cessione della Rcs Libri, di cui domani dovrà decidere il consiglio di amministrazione della Rizzoli-Corriere della sera.  Per ragioni di cassa, e probabilmente di sopravvivenza del gruppo (vi è un indebitamento di 500 milioni di euro, con molte scadenze bancarie da onorare entro il 2015), Rcs Mediagroup ha posto in vendita il ramo libri, da cui ricaverebbe circa 150 milioni. L'unica offerta arrivata è quella di Mondadori che con l'acquisizione porterebbe alla nascita in Italia di un gruppo dell'editoria vicino al 40% del mercato (38,6%). Un soggetto sicuramente di rilievo a livello nazionale, ma forse ancora troppo piccolo per competere a livello europeo (la francese Hachette, per esempio, è tre volte tanto), come pure di fronte al dominio mondiale di Amazon.

Il progetto, complice il fatto che Mondadori vuol dire Marina Berlusconi, ha scatenato la reazione furibonda di intellettuali e firme di fama, con appelli di blasonati scrittori, proclami pubblici come quello di Umberto Eco che ha invocato l'arrivo di salvatori stranieri piuttosto che l'odiato ex Cavaliere, e perfino la ridicola invocazione di Pierluigi Bersani perché «intervenga il Parlamento», e magari l'acquisto di Stato.  Ora, fatto salvo un nuovo esame dell'Antitrust (in precedenza aveva già dato il via libera) che dovrà verificare che ciò non crei abuso di posizione dominante, fatte salve le norme vigenti e le leggi stabilite dal Parlamento, delle due l'una: o altri editori-imprenditori privati acquistano Rcs libri in vendita (dove sono i De Benedetti, i Feltrinelli, e gli altri editori amati dalla gauche al caviale?), o lo acquisterà l'unico editore che si offerto di acquistarla per organizzare un polo editoriale in maniera competitiva e industrialmente in grado di reggere il mercato (cioè i gusti e le richieste dei lettori).

Invocare l'intervento del Parlamento è un'emerita sciocchezza, perché la riorganizzazione dei gruppi editoriali al fine di reggere la concorrenza di Amazon è in atto in tutta Europa e in tutto il mondo. Hachette in Francia lo ha già fatto, acquisendo il ramo editoriale di Vivendi Universal e diventando il primo gruppo librario del Paese. L'inglese Pearson vale otto volte quello che varrebbe il gruppo Mondadori-Rcs. E così la tedesca Bertelsmann o il gruppo Random House. L'alleanza strategica dei marchi è uno dei modi per affrontare seriamente la rivoluzione del libro, consentendo di rafforzarsi rispetto alle librerie e ad Amazon, e consentendo prezzi più bassi per chi acquista. Sarebbero poi soldi buttati per la Mondadori se appiattisse o «silenziasse» i marchi blasonati acquistati da Rcs, che hanno un loro prestigio, un loro pubblico e un loro mercato. O anche solo se ne intaccasse l'autonomia editoriale.

Se si guarda all'Einaudi, fiore all'occhiello dell'editoria di sinistra ma di proprietà di Berlusconi, non pare proprio che ci sia propensione al suicidio della Mondadori Libri. Anzi, il contrario, garantendo a ciascun marchio di seguire la propria vocazione editoriale. E per l'Einaudi, che quando fu acquisita era in gravissime condizioni economiche, l'approdo in Mondadori ne ha segnato la rinascita. Forse è tempo di rivedere molte delle categorie intellettuali anche di chi fa cultura, imparando che la prima garanzia d'indipendenza (questo vale per tutti, anche per i giornali) è sapere stare sul mercato, cioè riorganizzarsi di fronte a tempi nuovi, generazioni nuove (non si può far finta che il ciclone internet non ci sia stato), gusti nuovi e modalità diverse di fare le cose. Non sempre ritenere che sia la Provincia (o lo Stato) a dover risolvere i problemi, e a pagare a pie' di lista. In fin dei conti, è troppo facile: si scarica tutto sulle spalle dei contribuenti.

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