Lo scisma di Kiev che lacera l’Ortodossia

Lo scisma di Kiev che lacera l’Ortodossia

di Luigi Sandri

Lo sfavillio delle cupole dorate delle basiliche che, a Kiev, parlano anche ai più distratti di Cristianesimo, non farebbe mai immaginare che esse, da alcuni mesi, sono mute testimoni di uno scisma, interno all’Ortodossia, che vede contrapposti due patriarcati.

Quello di Mosca, guidato da Kirill, e quello di Costantinopoli, guidato da Bartolomeo. Una situazione che complica ancor più, sul versante politico, i rapporti tra Ucraina e Russia.
Dopo aver seguito la vicenda in tutta la sua incubazione, sono venuto sulle rive del Dnepr - il fiume che taglia in due la capitale ucraina prima di sfociare nel Mar Nero - per capire meglio l’intricatissima situazione, che affonda le radici in un millennio di storia. Il Cristianesimo, qui, iniziò ufficialmente nel 988, quando il principe Vladimir di Kiev accolse la nuova fede, là portata da missionari provenienti da Costantinopoli. Quando, nel 1240, i mongoli invaderanno la Rus’ (il territorio di Kiev), il suo metropolita, conservando il titolo, troverà rifugio in varie città della Russia, e infine si fisserà a Mosca, fondata da un secolo.

Nel 1453 l’antica Bisanzio sarà conquistata dai turchi ottomani; dunque il patriarcato bizantino viene indebolito, mentre più a Nord cresce la potenza politica e militare di Mosca, il cui vescovo dal 1589 diverrà patriarca di tutte le Russie. Nel 1686 Dionigi IV,  capo della Chiesa di Costantinopoli, trovandosi in difficoltà con il sultano “affida” la metropolia di Kiev a Mosca. E… facciamo un salto: stante l’Urss la Chiesa ortodossa ucraina era un esarcato del patriarcato di Mosca.

Ma, dopo il crollo dell’Unione sovietica (1991) la Chiesa ortodossa ucraina si spacca in tre parti: una, la maggiore, legata a Mosca; l’autoproclamato patriarcato di Kiev; una piccola Chiesa autocefala (indipendente). Ebbene,  Bartolomeo, malgrado la ferma opposizione di Kirill, ha favorito - nel gennaio scorso - la creazione di una nuova Chiesa ortodossa  autocefala dell’Ucraina (COU), di cui però non fa parte quella legata a Mosca, la quale, inoltre, considera “scismatica” la neonata. Kirill ha deciso, quindi, di tagliare la comunione eucaristica con Costantinopoli: insomma, i due patriarcati sono in stato di scisma.

Intanto, i greco-cattolici ucraini (chiamati “uniati” dagli ortodossi) guardano con simpatia la nuova arrivata, e puntano a  dialogare con essa. Religione a parte, sullo sfondo incombe un colossale problema politico: gli “uniati”, e la COU - oltre al governo di Kiev - accusano la Russia per avere, nel 2014, occupato e annesso la Crimea; ma Putin difende la scelta, ricordando che fino al 1954 quella penisola era russa, e non ucraina; e il patriarcato russo sta con lui.

Il “puzzle” politico-religioso dell’Ucraina, per ora  irrisolvibile (come a Kiev mi hanno confermato vescovi delle varie Chiese), getta la sua ombra nera sull’intera Ortodossia, e la fa tremare. Infatti, i duecento milioni di ortodossi sparsi nel mondo dovranno prima o poi scegliere tra Mosca e Costantinopoli. Lo scisma rischia di diventare cancrena.

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