Sì alle lingue straniere, ma salvate l’italiano

Sì alle lingue straniere, ma salvate l’italiano

di Sandra Tafner

La seconda lingua fa bene al cervello, spiegano psicologi e neurologi, insegnanti e pediatri. Conoscere due lingue (almeno due) fin da bambini sarà poi un vantaggio per tutta la vita e aiuterà perfino da anziani a rendere minore il rischio dell’Alzheimer. Ma - sostengono - non si diventa bilingui da adulti.

Si può imparare a destreggiarsi bene ma non sarà mai come avere una seconda lingua madre. Addirittura già a 6 anni l’apprendimento viene considerato tardivo.
Una lingua comune, soprattutto in certi settori come la tecnica, l’economia, la ricerca scientifica, è diventata necessaria in omaggio alla globalizzazione, per comunicare, per poter usufruire di studi e ricerche, per essere cittadini del mondo. Ed è ormai chiaro come l’inglese sia diventato strumento indispensabile come lingua base, meglio se abbinato ad altre tradizionali o emergenti, come l’arabo e come il cinese.

Diverso è invece l’uso non già della lingua in situazioni che richiedano un veicolo di comprensione fra persone diverse, ma di parole inglesi buttate a caso dentro una frase italiana rivolta a un pubblico italiano. La politica ne sta facendo largo uso (e non soltanto da oggi). Qual è ad esempio il motivo per cui nel reddito di cittadinanza entra il navigator, che siccome non significa navigatore né si vedrebbe la necessità di valersi d’un uomo di mare per affiancare chi va a fare richiesta del sussidio, vuole probabilmente essere una variante di tutor, pure quello termine inglese ma ormai orecchiato da qualche anno e quindi entrato nell’uso. Perché navigator se in italiano esiste il termine assistente a significare la stessa cosa? Forse lo si ritiene un modo per apparire istruiti e al passo coi tempi.

Le incursioni anglofone stanno ad ogni modo dilagando. Forse si crede che basti qualche scampolo di lessico straniero per diventare élite intellettuale. E dire che l’élite non pare abbia molti estimatori in questo Parlamento. Eppure ecco a sorpresa uscire proprio da lì il “revenge porn”. Questo sì che suona bene. Porn potrebbe richiamare  pornografico, praticamente un’abbreviazione, e vada per il revenge che vorrà pur dire qualcosa e si capirà in corso d’opera, quando finalmente qualcuno comincerà a chiamarla vendetta, con riferimento all’emendamento approvato alla Camera che punisce chi, a fini ricattatori, pubblica su Internet foto o video intimi senza il consenso del protagonista. Praticamente, bastava chiamarla fin da subito così.
C’è per fortuna chi alla propria lingua dedica studio e passione, come quei 70 mila partecipanti alle selezioni delle Olimpiadi di italiano promosse dal Ministero dell’Istruzione con la collaborazione dell’Accademia della Crusca. Alla recente edizione fra gli 82 finalisti, tutti provenienti dalle scuole secondarie di secondo grado, si sono fatti onore anche due studenti trentini. Riceveranno in premio libri e soggiorni di studio. È una consolazione.

Una voce autorevole come quella di Claudio Marazzini, presidente della Crusca, durante le ultime elezioni politiche vedeva nella lingua italiana la grande vittima, preda di tweet e di emoticon oltre che di grammatica strapazzata. Questa, commentava, sarà la campagna elettorale linguisticamente più povera di tutti i tempi. Gli slogan prevalgono sul ragionamento, gli strafalcioni massacrano la sintassi. E il pericolo è che incompetenza e ignoranza vengano spacciati per voluta adesione al ceto sociale più basso, quello che non appartiene alla casta. Al popolo, insomma. E allora per fingere di mettersi alla pari bisogna dimostrare di essere ignoranti? Ma chi l’ha detto che il popolo è ignorante, o perlomeno che lo è più di loro?

Sapersi esprimere correttamente in una lingua straniera, questo sì che sarebbe importante, mentre spesso negli incontri ufficiali i nostri rappresentanti non eccellono per bella figura.

 Servirebbe anche per esprimersi bene nelle istituzioni europee dove l’inglese la fa da padrone, mentre fino a qualche decennio fa conviveva con il francese. E il tedesco? Quello lo si trova spesso nei documenti ufficiali e la Germania se lo tiene ben stretto. Come gli altri Paesi, del resto. Quando mai i francesi rinuncerebbero alla purezza della loro lingua per inserirci a caso parole prese a prestito da altre? Eppure il nazionalismo serpeggia dentro i nostri confini, ma è un nazionalismo che guarda verso altre cose e forse quelli che lo sbandierano a sproposito non sanno di possedere una lingua bellissima che non andrebbe inquinata. Fu sempre considerata tale nel tempo, una lingua musicale, gentile, ricca, difficile perché erede del latino che fu la lingua di una grande civiltà. E non sanno che per parlarla non basta allenarsi con gli sms, bisogna leggere, leggere molto e magari anche studiare. Ma pare che per fare questo manchi sempre il tempo.

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