Tra meteo e politica, trionfano le ovvietà

Tra meteo e politica, trionfano le ovvietà

di Sandra Tafner

Il 21 marzo, primo giorno di primavera, tirava un vento gelido che di primavera non aveva nemmeno un lontano profumo. Il 21 marzo era appena mercoledì scorso, niente ormai è più prevedibile, non resta che affidarsi ai bollettini meteorologici consultati tante volte quante sono le critiche, sbagliano sempre, non si può mai fidarsi, salvo poi ricredersi e dire «ma guarda, proprio come avevano previsto».

Una volta bastava fiutare l’aria e alzare gli occhi al cielo, dialogo ormai perso fra la natura e l’uomo. Ogni volta si ripetono sempre le stesse frasi, considerazioni sparse a profusione come fossero una grande verità senza ricordare di averle già pronunciate l’anno prima e l’anno prima ancora.

Sempre le stesse frasi per lo stesso rito. Sempre lo stesso stupore. Eppure, come ricorda Luca Mercalli, che ci siano tutte queste novità non è affatto vero.

La primavera ha sempre fatto i capricci e del resto, a causa degli insulti che abbiamo sparato al mondo, prepariamoci pure all’aumento delle bizzarrie, visto che il clima del futuro sembra annunciarsi sempre più estremo.

Già i nonni, tuttavia, che spesso sintetizzavano pillole di saggezza in adagi e proverbi, non dicevano forse «marzo pazzerello aprile non ti svestire»? E anche «neve marzolina dura dalla sera alla mattina»?

I detti hanno accompagnato tante generazioni passate. Sarebbe quindi ora di cercare qualche altro argomento di conversazione, magari addolcendo il passaggio appropriandosi di una citazione di Cecov «la gente non si accorge se è estate o inverno quando è felice».

Le generalizzazioni ad ogni modo continuano a infiltrarsi nei rapporti sociali e diventano spunto per comunicare. Ci si imbastiscono lunghissimi discorsi dove l’ovvietà è il filo conduttore gelosamente conservato da una volta all’altra, un passepartout per entrare in contatto e dar fiato alle parole, argomenti innocui che non richiedono impegno.

Non ci sono più le stagioni di una volta, le mezze stagioni sono ormai un ricordo. È stato un lungo inverno né caldo né freddo e adesso fa un gran freddo, ce la farà purgare quest’estate quando sarà un’afa da morire, che poi non è neanche la temperatura ma è l’umidità che ti frega.

Altro spunto viene dalla politica, tema più che mai attuale. Sono tutti uguali - è l’incipit di prammatica - non ce n’è uno che si salvi, una volta presa la poltrona non la mollano più. Una magnadora, insomma, nessuno che pensi alla gente, promettono di tutto per avere il voto e poi che importa, ognuno si fa i fatti suoi.

Perfino tra i pellegrini che vanno a rendere omaggio alla reliquia di S. Antonio, a Padova, poco prima delle elezioni c’era qualcuno che diceva «entro a pregare il Santo che ci tolga i politici dai piedi». E dopo? dopo si vedrà, meglio niente piuttosto che quelli lì.

La politica è addirittura più gettonata delle stagioni nei discorsi comuni, c’è sempre chi ne sa una di più su «quelli che pensano soltanto a far soldi». Da non dimenticare la stampa. I giornali raccontano soltanto balle, assicura chi non ha assimilato ancora l’inglesismo «fake news», notizie false.

In realtà i giornali la gente li legge, non sempre comprandoli ma spesso approfittando di quelli che trova al bar dove prende il caffè. Paghi uno prendi due. Probabilmente li legge per poter poi dire che quello che scrivono è tutto falso, tutto inventato. Una specie di masochismo.

Però è un linguaggio condiviso e tutti almeno su certi argomenti sanno cosa dire e ottenere consenso. Saranno anche banalità, ma sempre meglio del silenzio.

E se quando, salutando, uno chiede «come stai» e l’altro risponde «eh dai abbastanza», almeno si sa che c’è un inizio, da lì si può andare avanti. Ma hai sentito di quell’automobile senza guidatore che ha investito un pedone e l’ha ammazzato?

Roba da matti, fra un po’ faranno tutto le macchine e non ci sarà più lavoro per nessuno e dovremo stare a casa. Sì a casa, dove devi chiuderti dentro per non lasciar entrare i ladri, altro che una volta quando si viveva senza chiudere a chiave la porta.

All’infinito sfoderando luoghi comuni. Una specie d’esperanto.

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