Connettiamoci, ma con il mondo reale

Connettiamoci, ma con il mondo reale

di Sandra Tafner

Vacanze lunghe, tre mesi per ricominciare il primo ottobre giusto in tempo per finire i compiti all’ultimo momento, prima di tornare a scuola. Vacanze in villeggiatura (chi poteva) con la famiglia, il papà che arrivava il fine settimana e per il tempo delle ferie, proprio come scrive Paolo Cognetti, recente vincitore del premio Strega.

Vacanze a Grana a scavalcare montagne e a sguazzare nel torrente con l’amico Bruno. Più o meno lo stesso schema per i ragazzi che una volta trascorrevano l’estate in qualche paesetto delle nostre valli, non centri famosi, via dalla pazza folla a giocare con i bambini del posto, a imparare com’era la vita che si viveva lì anche quando la gente forestiera se n’era andata via.

I giochi poi continuavano anche in città. Oggi non più, i giochi hanno cambiato fisionomia e soltanto chi partecipa a manifestazioni organizzate riesce a godere la semplicità del divertimento, da una corsa nei sacchi a una caccia al tesoro. I ragazzi però hanno altro da fare, abituati come sono a confrontarsi con giochi prefabbricati, niente da inventare.

È pur  vero che scarseggiano i luoghi dell’aggregazione, le piazze, le strade non soggiogate dal traffico. Addio per sempre a rincorrersi, a guardie e ladri, a nascondino, al salto della corda, al Giro d’Italia in miniatura con i corridori nascosti dentro i tappi delle bottiglie. È un linguaggio ignoto, terreno sconosciuto. E non hanno certo grande forza d’attrazione i giochi da tavolo, quelli più facili come il Giro dell’oca o il Non t’arrabbiare. Forse resiste il Monopoli, che per diventare moderno ora si chiama Monopoly con la ipsilon.

C’è il rischio della noia, barriera che la fantasia troppe volte non riesce a sfondare. Una briscola in compagnia? Cose da vecchi che non riescono certo a distogliere dai tasti del cellulare la generazione dei Millennials. Isolati dentro una bolla che assorbe tutta l’attenzione, vivono insieme senza accorgersene, ciascuno a inseguire le proprie tracce, manca poco che parlino fra loro via telefono seduti spalla a spalla, senza guardarsi in faccia, ciascuno piegato sul proprio isolamento.

Eppure questi giovani avrebbero molti talenti da spendere (qualcuno lo fa e anche bene), sono svegli, pronti, aperti, preparati, ma non sanno resistere allo spirito d’imitazione, tutti fanno la stessa cosa, i messaggi diventano irresistibili per scambiarsi informazioni, più raramente per esprimere sentimenti e opinioni. Per quelli servirebbe il dialogo a viso aperto, lo scambio di idee, l’espressione del viso.

  Il troppo stroppia, si sa. Ed è per l’impossibilità di governare gli eccessi che l’assessore provinciale Gilmozzi, rispondendo all’interrogazione di tre consiglieri d’opposizione, spiega il motivo per cui nella splendida valle di Tovel, inserita nel Parco Adamello Brenta, i cellulari non funzionano né si faranno funzionare approfittando dell’installazione di un’antenna che consentirà la comunicazione per i servizi d’emergenza, di vigilanza e di soccorso.

Niente ai privati, che  si lamentano (non tutti) per l’impossibilità di chiamare gli amici o di controllare il lavoro in ufficio o di sdraiarsi al fresco collegandosi per una partita a burraco. E guardare lo spettacolo della natura, no? E sognare a occhi aperti? E scambiare due parole con i compagni d’escursione? Difficile rinunciare a ciò che qualche decennio fa non esisteva proprio e che ora è diventato indispensabile. Chissà come se la cavava allora l’umanità non avendo un telefono a portata di mano. C’erano le cabine e i telefoni fissi (che a Tovel peraltro esistono), ma gli adulti se ne sono dimenticati e i giovani ne ignorano l’esistenza.

Ormai ciò che sembrava impossibile è già superato e si pretende sempre di più. Niente pare sia irraggiungibile e se non per merito lo si potrà ottenere grazie ai supporti tecnologici. Così, senza graduatorie, le difficoltà perdono valore. Basti dire che ormai è possibile raggiungere anche le vette dell’Himalaya pur non essendo alpinisti, basta farsi tirar su e magari tornare a valle in elicottero. Poi, per completare l’avventura con divertimento aggiunto, ecco pronto il nuovo casinò del Nepal costruito ai piedi della grande montagna.

Il Tiger Palace, la sala da gioco più alta e assurda del mondo, dove il turista dell’arrampicata può ritagliarsi uno spazio di mondanità alla roulette accanto ai ricchi frequentatori che arrivano dall’India e dalla Cina. Tutto permesso, dunque, ma chissà che un giorno non torni ad affacciarsi il desiderio di un limite che inconsciamente l’uomo ha sempre covato nelle sue aspirazioni.

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