Integrazione non è rinuncia all'identità

Integrazione non è rinuncia all'identità

di Sandra Tafner

C'era una volta. Eh sì, le fiabe cominciano sempre così. Dunque, c'era una volta la piazzetta dove i bambini andavano a giocare, ore rubate allo studio ma i maestri lo sapevano e non caricavano mai di compiti a casa, giusto il necessario, per il resto partite all'aria aperta, poco traffico che non costituiva un pericolo nemmeno quando si sforava sulla strada. Quanti scambi con le palline di terracotta e beati quelli che potevano comprarle di vetro colorato, le giravano nella mano e brillavano al sole. Anche nei cortili della scuola la ricreazione faceva un patto con l'aula, perché correre e saltare qualche minuto in più dava entusiasmo e cementava la convivenza.

Poi, si sa, i tempi cambiano e cambiano i giochi e i gusti e le possibilità. Oggi meglio un cellulare che quattro sgambate insieme, perché col cellulare si scoprono mondi nuovi e si fanno nuove conoscenze pur restando soli. Però, se nessuno ormai si sfida più a guardie e ladri, resta pur sempre la passione per il calcio che, grazie all'avanzata delle pari opportunità, non dovrebbe ormai fare distinzione fra maschi e femmine. Il pallone infatti è diventato trasversale, i maschi giocano tra loro e così fanno anche le femmine. Basta mettere insieme la squadra e nessuno si stupisce. Tranne qualcuno.

È successo in una media del Chianti, fine dell'anno scolastico. Che altro più divertente di una partita a football, come del resto si è sempre fatto per dare l'addio alla terza media? Il Collegio docenti, però, questa volta non ci sta. Dopo aver parlato ogni giorno di integrazione, dopo aver insegnato ogni giorno che tutti dobbiamo essere uguali e che non c'è diversità che tenga - avrà pensato - bisogna mettere in pratica quel che si è tanto predicato. Perché se le squadre scelgono i giocatori migliori, i più forti, i più bravi, gli altri povere schiappe che fanno? Dovranno limitarsi a stare sugli spalti rodendosi di invidia e facendosi venire i complessi di inferiorità. E le femmine? Ancora peggio, quelle addirittura dovranno accontentarsi di urlare incitamenti ai propri beniamini, convincendosi che quello in fondo dovrà essere il loro ruolo. Ora e sempre in seconda fila, protagoniste mai.

La parità di genere e la tolleranza sono il leit motiv del nostro insegnamento - questa l'idea - e allora bisogna andare fino in fondo e pensare anche ai più deboli (ma perché più deboli?). Torneo abolito. Forse bastava pensare a un rimedio qualche settimana prima. Che dire? Tirare a sorte i giocatori, dar fondo alla creatività, inventare altri divertimenti e altre sfide collettive tali da far partecipare tutti quelli che ne avessero voglia, chiedere suggerimenti ai ragazzi evitando possibilmente eventuali gare di sms col compagno che ti sta a fianco o la raccolta di manciate d'amici virtuali su facebook. Meglio quelli reali, sono lì, si possono anche toccare.

I metodi educativi, è ovvio, se applicati seriamente sono sacrosanti. Solo che certe volte possono sembrare più realisti del re. Magari soltanto visti dall'esterno, da chi non capisce che un determinato programma scolastico si deve applicare con determinate regole. Nasce il sospetto, sempre guardando dall'esterno, che a far scattare la censura possa essere la paura delle contestazioni da parte di qualche genitore sempre pronto a denunciare intenti discriminatori. Non risulta che in tutte le altre scuole dove si usa salutare l'inizio delle vacanze sul campo da calcio sia stato diffuso lo stesso divieto. Professori temerari o professori che interpretano diversamente il tema dell'integrazione? È un po' quello che da qualche anno succede a Natale, dove in certe scuole si preferisce rinunciare alla tradizione del presepe per non irritare la suscettibilità di qualcuno.

Basterebbe spiegare: questa è la nostra tradizione e la vostra com'è? Parliamone. Vogliamo ampliare gli orizzonti perché nessuno si senta diverso? Ampliamoli, cominciamo a integrarci un po' alla volta, non a escludere ma a includere, ciascuno per quanto gli compete. Non si offende nessuno sostenendo la propria identità e le proprie usanze, importante è non volerle imporre agli altri. Convivenza significa vivere insieme, senza rinunciare e senza far rinunciare.

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