La Lega gioca col fuoco della paura

La Lega gioca col fuoco della paura

di Sandra Tafner - NO

La speranza di Nunzio Galantino è che si possa recuperare fiducia nella fede e nella politica. Per la verità, prima che scoppiassero le recenti polemiche, chi non aveva tra i suoi pensieri primari il recupero della fiducia nella fede neanche sapeva chi era Nunzio Galantino. Poi come un ciclone è arrivato lui, il segretario della Cei, con parole forti ispirate all’idea di giustizia sociale, quella che aveva guidato l’azione di governo di Alcide Degasperi, figura di statista. Il monsignore l’avrebbe dovuta commemorare a Pieve Tesino dove però non è arrivato per non rinfocolare le polemiche. Quelle parole infatti avevano hanno irritato il leghista Salvini già irritato per conto suo dalle vicende degli immigrati e dal buonismo, come lo definisce, di chi va a salvarli mentre stanno per affogare e li porta sulle coste italiane, dove poi succedono tutte le cose che conosciamo. E qui subentra la fiducia da recuperare nella politica, esigenza impellente di qualsiasi persona di buonsenso. C’è però da dire che per farlo bisognerebbe che ce ne fossero i motivi, il che succede sempre più raramente. «Nessun politico - dice Galantino - dovrebbe mai cercare voti sulla pelle degli altri». E ancora «I populismi sono un crimine di lesa maestà di pochi capi spregiudicati davanti a un popolo che chiede di capire i passaggi complessi della storia».
Il segretario della Lega non ci sta. Populista a me? A me che riscuoto tanti applausi dalla gente quando proclamo che gli stranieri se ne stiano a casa loro perché questa è casa nostra? Ma respingere gli immigrati è un atto di guerra, aveva detto il Papa, citato dal vicepresidente della Provincia Alessandro Olivi durante la commemorazione dell’eccidio di malga Zonta, dove ha ribadito che l’intolleranza e l’egoismo possono dar vita anche oggi a guerre, da considerare tali anche se più silenziose di quelle combattute con le bombe e i cannoni.
L’impressione, di fronte a quello che sta succedendo e non solo in Italia, è che sia proprio una terza guerra mondiale quella che si sta profilando e che tante persone sentono già direttamente sulla pelle. La paventa anche il Capo dello Stato e sembra davvero un allarme. Però Salvini insiste: che i vescovi non rompano le palle. Lontano anni luce il politicamente corretto, ora si fa a chi sbraita di più. Più uno le spara grosse e più aumentano i consensi elettorali. Così pare.
Tutta un’altra cosa la guida recentemente diffusa nei campus universitari americani, dove sta prendendo piede un clima di ipersensibilità fuori misura, così che il primo a risentirne è il linguaggio di tutti i giorni. Anzi, l’unico probabilmente a risentirne. Perchè quando per evitare il termine «straniero», ad esempio, si invita ad usare l’espressione «persona internazionale» si fa un’operazione di facciata, ma la sostanza resta sempre la stessa. Talvolta anche un tantino ipocrita, come quando si invita a non definire «obeso» un grassone, ma semplicemente «persona di dimensioni». Politicamente corretto o scorretto che sia, le esagerazioni sono sempre tali da qualsiasi parte vengano.
Ad ogni modo chiamiamoli pure stranieri o persone internazionali, la cosa sicura è che la Lega non li vuole accogliere sul suolo patrio e allora eccola qua la sfida: fermiamo tre giorni il Paese per cacciar via questo governo (che invece li accoglie). Il significato si presenta aperto, può sottintendere sciopero generale in piazza, può voler dire barrichiamoci in casa. L’importante è che ci sia un blocco generale. «Na popa se me movo» era il nome di un gioco che si faceva da bambini, uno contava fino a tre e poi si girava e allora tutti gli altri che dietro avanzavano dovevano immediatamente fermarsi e restare immobili.
Italia girati e vedrai i tuoi cittadini trasformati in statue. Per protesta contro le invasioni barbariche. O per paura. O perché l’ha detto la Lega che fornisce anche le spiegazione del regolamento: ciascuno nel suo negozio, nel suo ufficio, nel suo ospedale, nella sua scuola, nella sua azienda incroci le braccia.
Però questo non è un gioco.

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