Il mito della dieta mediterranea

Il mito della dieta mediterranea

di Michele Pizzinini

Egregio professor Segrè, è con grande piacere che ho letto il suo intervento sul giornale dello scorso 31 dicembre, anche perché mi fa sentire meno solo in questa mia «battaglia» contro gli zuccheri e le malattie del benessere. Volevo ricordare a lei, e a tutti i lettori, che a trarre giovamento da uno stile di vita corretto non sarebbero solo i 250.000 soggetti in sovrappeso/obesi della nostra provincia, ma anche i 20.000 diabetici ed i 20.000 che lo diventeranno nei prossimi anni, i 90.000 ipertesi, le persone con ipercolesterolemia, i celiaci, gli allergici e gli intolleranti, le bulimiche, le anoressiche e via discorrendo. Purtroppo non si tratta più di disinnescare la bomba (calorica), perché è da più di trent’anni che la bomba è scoppiata ed oggi ne paghiamo le conseguenze. I buoi sono già scappati dalla stalla da molto tempo e adesso dobbiamo rincorrerli.

E vengo alla sua proposta di richiedere un riconoscimento dall’Unesco per una «dieta mediterranea alpina». Non credo che la cosa sia facilmente perseguibile perché, come lei afferma una dieta è tanto più sana, quanto più è locale, a km 0, ricca di quei principi nutritivi che vengono facilmente persi con la lavorazione e la trasformazione dei cibi. Forse l’errore è stato quello di attribuire alla dieta mediterranea una «supremazia» rispetto alla dieta di altre popolazioni, che vivono nelle più disparate aree del mondo.

Come giustamente ha scritto anche lei, l’alimentazione è anche cultura, tradizioni, relazioni e cercare di cambiare i gusti ed il comportamento alimentare è un po’ come insegnare una lingua nuova. Il numero delle «diete» nel mondo è uguale al numero delle lingue parlate. Esse possono cambiare anche a distanza di pochi chilometri, basti pensare ai diversi dialetti delle nostre valli. Così è per i cibi, i gusti e le abitudini alimentari: i tortei de patate della val di Non non sanno quasi cosa siano dall’altra parte della valle dell’Adige.

Se un giorno qualcuno ci invitasse a mangiare alghe o insetti, perchè gli abitanti di Okinawa, un’isola del Giappone, sono i più longevi al mondo, credo che ci ribelleremmo e preferiremmo morire un po’ più giovani, ma gustandoci le nostre buonissime tagliatelle al ragù. Se poi diciamo ai tedeschi di rinunciare a birra e wuerstel, e che gli faremo chiudere l’Oktoberfest, per vivere un paio di anni in più, ci sarebbe una rivoluzione in Germania. Probabilmente ci direbbero: «Tenetevi i vostri bambini grassi che noi ci teniamo i wuerstel!».

Sì perché come facciamo a sostenere che la dieta mediterranea sia la più sana quando il maggior numero di bambini obesi in Europa è nel sud Italia? In Italia, la maggior prevalenza di obesi, diabetici e di ipertesi vive al sud, con numeri quasi doppi rispetto al Trentino. Ed anche per quanto riguarda lo stile di vita, le indagini ci dicono che i più sedentari nel nostro paese vivono al sud. Il «super alimento» veramente unico e tipico della dieta mediterranea è l’olio di oliva che vanta effettivamente delle proprietà particolarmente salutari. Forse, come per gli abitanti di Okinawa e di alcune altre popolazioni sparse in giro per il mondo, è anche una questione di geni se sono nel meridione sono più longevi di altri.

Nelle classifiche stilate dall’OMS l’Italia è tra i dieci paesi dove l’aspettativa di vita è più alta: in compagnia di Giappone, Islanda, Svizzera, Spagna, Liechtenstein, Svezia, Australia e Singapore. Che ci azzecca la dieta mediterranea con la Svizzera, l’Islanda la Svezia o l’Australia?

Dobbiamo ricordarci che gli alimenti tipici della dieta mediterranea: pomodori, peperoni, melanzane, legumi, sono tutti arrivati in Europa con la scoperta dell’America e assieme al mais, alla tapioca ed al cacao, sono stati per centinaia di anni gli alimenti di riferimento della dieta quotidiana dei Maya e delle popolazioni sudamericane. Dopo aver sterminato questi popoli ci siamo pure appropriati della loro dieta, facendola diventare nostra.

Il ruolo del Trentino, e dell’Euregio, credo debba essere un altro, e vengo al punto. Vent’anni fa proposi all’allora governatore del Trentino Lorenzo Dellai, di istituire nell’ambito dell’Istituto Trentino di cultura, quello che oggi è la Fondazione Bruno Kessler, l’Istituto Trentino per l’alimentazione. Questa nella mia intenzione doveva essere un’istituzione culturale che fungesse da cerniera per due mondi completamente diversi sia culturalmente che nelle tradizioni alimentari. Da una parte la dieta mediterranea che fa del pane, dell’olio di oliva e del vino i suoi fondamenti alimentari principali che proprio in Trentino si viene a scontrare/incontrare con la cultura nordica, dove gli alimenti di riferimento sono rappresentati da carne, burro e birra. Sostenevo che fare l’Europa significasse anche trovare una mediazione tra i vari stili di vita nel rispetto reciproco delle proprie tradizioni.

La funzione di questo istituto doveva essere quella di individuare e studiare gli aspetti chimici, biologici, bioenergetici, fisiologici, legati agli alimenti, per mantenerci il più sani possibile, nel rispetto delle abitudini alimentari di ogni popolo che sono invece determinate dal clima, dal tipo di agricoltura possibile, da fattori sociologici, economici, religiosi, psicologici, relazionali, e così via.

Non se ne è fatto niente forse perché allora parlare di alimentazione non era ancora così di moda, ma credo che, ancora oggi, il ruolo della Fondazione Mach dovrebbe essere anche quello di coniugare e fare sintesi tra il «mondo» nordico con quello mediterraneo. Io la penso ancora così.

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