Troppi sovrappeso, attenti alle diete

Troppi sovrappeso, attenti alle diete

di Michele Pizzinini

Si celebra oggi l’«Obesity day», la giornata dedicata a mantenere alta l’attenzione sul problema dell’obesità, la malattia che viene considerata la madre di tutte le malattie. Le complicanze legate all’obesità sono tantissime.

Le complicanze legate a questa malattia sono tali e tante che i costi attribuibili all’eccesso ponderale ammontano a più del 10% della spesa sanitaria globale.

Malattie come l’ipertensione, la sindrome metabolica, la gotta e problemi come il sovraccarico articolare, la steatosi epatica (= fegato grasso) le apnee notturne, la stasi venosa, il reflusso gastroesofageo, l’asma, eccetera sono tutte condizioni che traggono un netto miglioramento dalla riduzione del peso corporeo.
Ma è soprattutto con il diabete di II tipo e con i tumori che negli ultimi anni stanno emergendo delle affinità sempre più evidenti. Obesità, diabete e tumori stanno aumentando in tutto il mondo sostenendosi a vicenda.

L’obesità è oggi considerata una malattia ereditaria, su base neuroendocrina, cronica, altamente recidivante. In altre parole, per ingrassare in maniera patologica, è necessario ereditare una difettosa regolazione delle riserve energetiche a livello del sistema nervoso centrale e se una persona ha la tendenza ad ingrassare, tale tendenza l’accompagnerà per tutta la vita e periodicamente tenderà a ripresentarsi.
L’obesità è una malattia che assomiglia più alla depressione che all’ipertensione. Mi spiego. La persona ipertesa sa che ogni giorno deve prendere uno o più farmaci per tenere la pressione arteriosa sotto controllo, e la terapia, una volta iniziata, dev’essere protratta per tutta la vita.

La depressione invece può manifestarsi una sola volta nel corso della vita, ad esempio dopo un parto o in concomitanza con eventi particolarmente difficili da superare, un lutto, una separazione, un licenziamento e così via. C’è la persona che ha avuto un episodio di depressione in tre o quattro circostanze «difficili». C’è il depresso «stagionale» che l’autunno o in primavera ha un netto calo dell’umore e c’è infine il depresso cronico che deve ricorrere quotidianamente alla terapia farmacologica.

Così è per l’obesità. C’è il soggetto che è ingrassato un’unica volta nel corso della vita, tipico è l’esempio di chi ingrassa quando smette di fumare. Ma c’è la persona che ha avuto una serie di aumenti quando, ad esempio, ha interrotto l’attività fisica, o a causa di un infortunio, o in seguito ad una terapia farmacologica protratta, o nel corso della premenopausa o in concomitanza con eventi apparentemente insignificanti come un trasloco. C’è la persona che tutti gli anni nel corso dell’autunno accumula 2-3 chili, che poi gli rimangono. E ci sono infine i soggetti che hanno una regolazione centrale del tutto compromessa, che possono superate anche i 150 chilogrammi.
Spesso sono l’ansia, lo stress o le variazioni del tono dell’umore che portano ad una variazione del peso.

C’è il soggetto stressato che gli si «chiude lo stomaco» e a qualcuno gli si apre una «voragine» e per colmare l’ansia continua a smangiucchiare. Ma si è osservato che non è indispensabile mangiare di più: pur mangiando le stesse cose c’è chi ingrassa e chi dimagrisce.
In sostanza, non abbiamo ancora capito perché si ingrassa. C’è chi mangia ciò che vuole e resta magro, chi vorrebbe aumentare di peso e non ci riesce, ed in tal caso parliamo di magrezze costituzionali e c’è chi farebbe di tutto per non ingrassare ma non riesce a fermare la crescita di peso lenta e inesorabile.

Oggi si tende ad affrontare l’obesità con soluzioni semplicistiche e si è convinti che basti mangiare di meno e muoversi di più, ma non è così.
Abbiamo scoperto che ai centri della fame e della sazietà, che regolano l’assunzione del cibo per mantenere il peso costante, afferiscono circa 25 sostanze chimiche tra ormoni, neurotrasmettitori, nutrienti, e così via, che favoriscono un aumento di peso, ma ce ne sono almeno il triplo che lo contrastano. Cioè in natura è uno svantaggio ingrassare troppo, perché i soggetti più pesanti sarebbero quelli che verrebbero eliminati per primi perché non sarebbero in grado di scappare o di combattere contro un eventuale predatore.

Per tali ragioni l’obesità è considerata la malattia più difficile da curare, anche perché, pur essendo la malattia metabolica più diffusa al mondo è l’unica «orfana» di farmaci. Abbiamo cure farmacologiche per le malattie metaboliche, per i tumori, ed anche per le malattie rare ma in Italia non c’è un farmaco per curare l’obesità.

Oggi i 6 milioni di obesi italiani vengono lasciati alla mercé di commercianti che con proposte ridicole e spesso fraudolente fanno spendere ogni anno circa un miliardo e mezzo di euro nella speranza di trovare una soluzione definitiva alla loro condizione.
Purtroppo, lo sappiamo da 50 anni che questi sistemi funzionano fin che si paga.

A distanza di 3 anni, di coloro che abbiano fatto una di queste diete fantasiose o abbiano operato una qualsiasi restrizione calorica, sappiamo che solo il 3 % sono riusciti a stabilizzare la perdita di peso, il 2-3 % ha sviluppato un disturbo del comportamento alimentare, come anoressia o bulimia, l’80 % ha recuperato il peso perduto ed il 15 % ha peggiorato il peso di partenza, innescando spesso quella che è definita la «sindrome yo-yo».

Speriamo di riuscire a dare presto una risposta terapeutica soddisfacente e definitiva alla disperazione dei circa 6 milioni di italiani obesi e dei 20 milioni in sovrappeso.

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