Piccolo corso di diritto condominiale/17: l’alterazione della destinazione comune

Piccolo corso di diritto condominiale/17

di Carlo Callin Tambosi

L’alterazione della destinazione comune

Nello scorse puntate abbiamo parlato dell’art. 1102 c.c. che disciplina l’uso del bene comune da parte dei comproprietari.
Abbiamo detto che il comproprietario può farne uso a condizione che non alteri la destinazione del bene e che non impedisca il pari uso.
Della destinazione abbiamo parlato la scorsa puntata, del pari uso parleremo nella prossima.
Vediamo invece, oggi, la definizione di alterazione della destinazione d’uso.

Cercandola, tuttavia, non la troveremo: giudici e  interpreti in generale definiscono come alterazione della destinazione d’uso il compimento di un’attività che non corrisponde alla destinazione d’uso del bene e che è tale da inficiare il bene nella sua originaria attitudine.
La definizione di alterazione è quindi negativa: fare qualcosa che esula dalla destinazione del bene.

È ovvio che sul punto i comportamenti tali da modificare definitivamente il bene verranno valutati più rigorosamente di altri che, effimeri, possono essere privi di una efficacia lesiva della posizione degli altri comproprietari anche se eccentrici rispetto alla destinazione.
Ricordo che nel dire cosa è la destinazione abbiamo detto che l’idea  di destinazione di un bene è soggetta alle modificazioni dei valori e delle percezioni dell’intera società  e abbiamo detto che esiste normalmente di un bene la destinazione principale, ma che esistono anche delle destinazioni secondarie che pure sono pienamente lecite.

Ebbene in linea generale i giudici ritengono alterative della destinazione le condotte che non corrispondono né alla destinazione principale né a quelle secondarie (che possono essere molto varie). Alterazione è quindi, semplicemente, ciò che è estraneo alla destinazione ordinaria o alle destinazioni secondarie del bene e che abbia attitudine a pregiudicare l’uso del bene o a modificarlo o a incidere negativamente su questo se tante volte ripetuto (in caso di comportamenti che non impongano una modificazione permanente).
Ho detto che si deve cercare su questa materia di individuare dei criteri generali che possano aiutare i condomini a capire quali sono i comportamenti consentiti e quali sono quelli vietati: ma in effetti su questa materia, quando tentiamo di allontanarci dalla confortevole spiaggia del catalogo dei comportamenti consentiti e di quelli vietati che troviamo nelle sentenze dei giudici, veniamo rispinti a terra da onde troppo alte ...

L’art. 1117 quater c.c.

Quanto alla destinazione d’uso, va ricordato che il codice ha introdotto una nuova norma, l’articolo 1117-quater che afferma che nel caso in cui un condomino ponga in essere un comportamento che incida negativamente sulla destinazione d’uso, gli altri condomini e pure l’amministratore hanno il potere di far convocare un assemblea per deliberare sul punto e decidere, se necessario, anche di agire giudizialmente per ottenere la cessazione del comportamento lesivo.

La norma in quanto tale dice una cosa assolutamente ovvia che mai è stata vietata dal precedente ordinamento:  chiunque contestasse il comportamento lesivo della destinazione da parte di uno dei condomini aveva certo anche prima della entrata in vigore di questa norma il potere di convocare un’assemblea per discutere il da farsi.
Possibile quindi che il legislatore abbia inserito un nuovo articolo per dire una cosa che era già ovvia prima?

La domanda non consente una risposta elementare, in quanto purtroppo, gli interpreti insegnano, gli interventi del legislatore non sono sempre ispirati a razionalità.
Però sul punto si potrebbe ricordare che esiste un canone interpretativo secondo il quale, tra due possibili interpretazioni di una regola, si debba privilegiare l’interpretazione che attribuisce a questa regola un significato piuttosto che quella che glielo nega.
Ebbene la prima lettura, quella piana della norma, che afferma la possibilità del condomino di far convocare un’assemblea costringe l’articolo di legge ad un ruolo inesistente, costringe la norma ad una sostanziale privazione della sua efficacia precettiva.

Occorre allora  ricordare l’interpretazione che attribuisce all’articolo 1117 quater una effettiva portata innovativa: nel caso di comportamenti che incidono negativamente sulle destinazioni d’uso il condomino dovrebbe prima di tutto rivolgersi all’assemblea e solo in seconda battuta al giudice per ottenere ragione contro i comportamenti lesivi della destinazione d’uso posti in essere da un altro condomino.
Questa interpretazione tuttavia non ha ricevuto ad oggi il consenso da parte dei Giudici: a cinque anni dall’entrata in vigore della norma la casistica sulla sua applicazione è ad oggi quasi inesistente.
Forse avevano ragione quelli che affermano che non voglia dire niente... 

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