Tra spiriti, feste e cimiteri

Tra spiriti, feste e cimiteri

di Federico Uez

In una piovosa serata haitiana, penso al mio arrivo qui a Port au Prince.

Se rifletto su una parola che possa descrivere il mio primo impatto con il paese , questa è «cimitero».

Un po’ macabro, certo. Un po’ strano, certo. Ma stiamo parlando di Haiti e non può non saltare in mente il vodoo, i feticci e le leggende, meno fantasiose di quanto si pensi, sugli zombi e le pozioni.

Sono giunto qui il 2 novembre che corrisponde con una delle feste più grandi nel paese, della tradizione vodoo, che si è andata «creolizzando» e mischiando con quella cristiana: infatti, mentre la mia famiglia a Trento celebrava la giornata dei morti ricordando i parenti defunti, a Port au Prince si festeggiava il Gede, la festa dei morti.

Mi sono così trovato, assieme a Silvia, la mia collega servizio civilista, all’interno di 2 dei cimiteri principali della capitale, accompagnati dagli amici che ci attendevano all’aeroporto. Entrare in questi luoghi non è stato facile e sicuramente l’impatto forte: all’ingresso, ad accoglierci un’immagine dipinta di Baron Samedi, lo spirito vodoo della morte, protagonista principale di questa giornata. E poi un misto di colori, persone e cose, che mai avrei immaginato di vedere in un cimitero.

All’interno del luogo sacro bancarelle che vendevano oggetti e alimenti, centinaia di persone riunite assieme, chi a bere alcool, chi a chiacchierare, molti seduti o in piedi sulle grosse tombe a forma di casa, il tutto mentre attorno ad una croce si svolgevano i rituali tradizionali. Ho nitida in testa l’immagine delle persone portare le offerte intorno a una croce, ricoperta di fiori e candele, olitata da delle vecchie che maneggiavano bottigliette di rhum misto a peperoncino.

Il secondo cimitero in cui ho avuto il privilegio di entrare, per assistere a questo spaccato così forte e importante della realtà haitiana, mi ha mostrato l’altro lato di questa festa: persone visibilmente alterate da alcool e droghe danzare assieme, a ritmo di  percussioni e musiche fatte ascoltare a tutto volume. Evitando di corsa, assieme alla folla, qualche bottiglia volante e riparandoci dietro un muretto, protetti dai nostri amici haitiani, proprio loro ci hanno accompagnato fino a un nutrito gruppo di gente dove non sapevamo a cosa avremmo assistito: tra di loro, un uomo vestito con abiti tradizionali, costruiti per di più con latta e metallo, era intento a simulare atti sessuali e danze estreme, dopo essersi cosparso il corpo (tutto il corpo) di peperoncino.

In seguito, provando ad informarmi, ho compreso che queste danze oscene e rituali «sopra le righe» e l’alcool, fungono da messaggio per gli spiriti, per  mostrate che si è pronti al loro arrivo e a infrangere la barriera tra il mondo visibile e quello invisibile.

All’interno di tutto ciò, va inserito poi il normale desiderio di festeggiare e di uscire dalla normalità, una cosa comune in tutto il mondo.

Migliaia sono le persone che affollano i cimiteri e le strade in un paese che, seppur per l’80% cattolico, tutti mi ricordano sempre, si può definire al 100% vodoisa, nel senso che l’influenza degli spiriti e delle tradizioni legati a questa religione sono forti e presenti in quasi ogni haitiano.

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