Sentiamo parlare di… DNA

Sentiamo parlare di… DNA

di Open Wet Lab

«LeBron è un campione assoluto, ha un talento innato…ha il basket nel DNA!».

Quante volte ci è capitato di esprimere così la nostra incredulità di fronte ad un talento naturale? Avete mai pensato al motivo per cui ci riferiamo al DNA come qualcosa che possa dire quasi tutto di noi? Non avremo geni per il basket, per il violino o per la matematica, ma sicuramente il nostro DNA è ciò che ci permette di esistere, contenendo le informazioni necessarie per la vita. In questo blog abbiamo già parlato di questa molecola, senza mai però soffermarcisi veramente.

Insomma non vogliamo essere noiosi e ripetitivi, ma il DNA è così importante che ci permettiamo di ripeterne il significato. E poi, «Repetita iuvant». Continua così anche con questo articolo, il nostro interesse a dare un «volto» alle parole biologiche che usiamo nella vita di tutti i giorni.

A partire dall’identificazione di una molecola acida nel sebo dei soldati da parte di Friedrich Miescher, fino a giungere alla scoperta della sua struttura grazie ai premi nobel James Watson e Francis Crick (ed all’importantissimo aiuto di Rosalind Franklin), passando per la prova definitiva che fosse il materiale genetico (esperimenti di Hershey e Chase), il DNA ha sempre suscitato un fortissimo interesse da parte degli scienziati.

Il percorso che ne portò alla scoperta è molto lungo e coinvolge molti altri nomi illustri. Tutt’ora possiamo dire che lo studio del DNA è un ramo fondamentale della biologia molecolare come dimostra il premio Nobel per la chimica 2015 conferito a Tomas Lindahl, Paul Modrich and Aziz Sancar. Un altro esempio è il tentativo di modificare questa molecola già a livello embrionale (vedi il nostro commento sul lavoro di Junjiu Huang). Perché, quindi, è così importante?
Partiamo innanzitutto con il descrivere la sua struttura. Il DNA è un acido desossiribonucleico (DeossiriboNucleic Acid) composto da una sequenza di quattro basi: adenina (A), timina (T), citosina (C) e guanina (G). La struttura si dispone come un doppio filamento che si avvolge su sé stesso formando la famosa doppia elica. Come potete vedere dall’immagine

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gli appaiamenti possibili tra basi sono A:T e C:G. Il genoma umano, ovvero tutto il DNA presente all’interno di ogni nostra cellula, è composto da una sequenza di circa 3,2 miliardi di basi. Se distendessimo quello presente in una singola cellula arriveremo circa a tre metri. Le nostre cellule però non sono così grandi e infatti il DNA, sfruttando specifici meccanismi molecolari, riesce a compattarsi diminuendo il volume necessario a contenerlo. 

Ciò che rende il DNA estremamente affascinante è la sua funzione. Dobbiamo pensare che questa molecola racchiude tutte le informazioni necessarie al corretto funzionamento dei nostri processi biologici. Provate per un attimo a fermarvi e a pensare a quanto sia incredibile questo fatto: una semplice sequenza di basi azotate permette la nostra vita. Certo, non è sufficiente, ma è estremamente necessario. Può sembrare banale ma in realtà è qualcosa di straordinario. E’ come se il DNA fosse un manuale di istruzioni. Ogni volta che la cellula deve “assemblare” una nuova molecola, ottiene le informazioni dal DNA e più precisamente dai geni, ovvero sequenze che codificano per una particolare molecola. Come queste informazioni vengano processate è tutta un’altra storia e magari ve ne parleremo in un altro articolo.

Purtroppo il DNA può essere danneggiato e le sue istruzioni possono essere cambiate: dalle radiazione UV, da agenti chimici esterni, dal fumo e anche da qualche errore durante la sua replicazione. Cosa succede se la sequenza non corrisponde più a quella originale? Anche l’informazione che ne deriva sarà errata e così si causano dei problemi. Se sul manuale di istruzioni c’è scritto di darvi una martellata sulla mano invece che sul chiodo non sarete di certo felici. Per fortuna la nostra cellula ha dei meccanismi di riparazione molto efficienti, ma sconsigliamo di metterli a dura prova!

Un altro aspetto molto interessante è la “conservazione” di molte informazioni in differenti specie. Vuol dire che alcuni geni, contenendo informazioni fondamentali e primarie, sono rimasti quasi del tutto invariati nel corso dell’evoluzione dei differenti organismi. È sorprendente infatti come circa il 98% del DNA di scimpanzè sia uguale al nostro o come il 75% dei geni del topo siano equivalenti a quelli umani. Forse lo è ancora di più se pensiamo al 60% di similarità con Drosophila Melanogaster, il moscerino della frutta. Mentre la similarità a livello di DNA garantisce anche una similarità a livello di molti meccanismi molecolari, non sempre è indice di uguaglianza dell’organismo. Questo succede perché l’informazione può essere processata ed utilizzata in maniera differente, con più o meno gradi di complessità.

Per concludere, sperando di avervi dato un’idea più chiara di cosa sia questa molecola, vorrei sfatare un piccolo mito. È vero che usiamo solo il 2% del nostro DNA? Assolutamente no! Il 2% è solo quello che viene utilizzato per creare le proteine, il cosiddetto DNA codificante. Ma una buona parte del genoma viene utilizzata per produrre  altre molecole, per regolare il suo stesso processamento e probabilmente per altri meccanismi che ancora devono essere scoperti. Bisogna dire però che tutt’oggi c’è un forte dibattito sul motivo della presenza di una parte del DNA che SEMBRA essere inutile. Chissà però cosa scopriremo negli anni a venire. Chissà quante sorprese ancora ci riserverà il DNA.

Alla prossima

Simone Detassis

Fonti:

  • http://www.genome.gov/10005835
  • http://journals.plos.org/plosbiology/article?id=10.1371/journal.pbio.1000112
  • http://education.seattlepi.com/animals-share-human-dna-sequences-6693.html
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