La grande fortuna degli "oblomovisti"

La grande fortuna degli "oblomovisti"

di Lucio Gardin

«O blomof» è un romanzo di Ivan Goncarof, che dal cognome si capisce che non è di Caserta. Infatti è russo. A dir la verità, il nome completo è Ivan-Alessandrevic Goncarov, perché in Russia si chiamano tutti o Ivan o Alessandrevic. Tranne lui, che la mamma gli ha dato entrambi i nomi perché era una che metteva i puntini sulle i.

Tutto il libro si svolge nell’appartamento del protagonista. Oblomov si alza dal letto.. poi va al divano.. poi dopo torna a letto... poi va in cucina.. poi va in bagno.. poi torna a letto.. per tutto il libro non esce di casa. È un libro a km 0.

Diciamo che Oblomov è un precursore della quarantena. Non fa niente e rinvia ogni cosa. Si sveglia al mattino e dice “oggi quasi quasi.. non me ne frega niente.. crepi l’avarizia.. mi metto d’impegno.. e scendo dal letto” ma poi rinuncia “No no, troppa fatica, scendo domani”. Questo libro è un vero e proprio trattato sull’immobilismo a tal punto, che è stato coniato il termine “oblomovismo” per descrivere una persona che si muove lentamente.

Beh, non è un termine usato correntemente. Tuttavia, negli ultimi anni di Ronaldinho al Milan, si sentiva spesso gridare dagli spalti “a oblomistico!”. Nel mondo del lavoro pubblico essere oblomovisti è un bel vantaggio, perché col minimo sforzo hai il massimo risultato. Nel senso che tutti sono al corrente di ogni cosa che fai, dal momento che ne fai pochissime essendo pigro.

Al contrario, essere troppo operativi è scomodo, perché devi studiare, fare master, corsi di aggiornamento, e soprattutto, c’è sempre il rischio di sbagliare. Invece, ai pigri basta imparare a memoria tre frasi: 1) “Non è compito mio, mandi una mail al collega” 2) “Il collega è fuori ufficio” e 3) “Mi spiace ma ho solo due mani!” C’è da dire che i pigri potrebbero essere molti di più, il fatto è che la maggior parte di loro non nasce nemmeno, rimane negli spermatozoi. Perché invece di andare a colpire l’ovulo, se ne stanno appoggiati al muro a guardare gli altri a correre pensando «Mi spiace ma ho solo una coda».

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