Tornare alla montagna non è un lusso

Tornare alla montagna non è un lusso

di Lucio Gardin

Il recente concerto di Jovanotti sulle Dolomiti mi ha portato a una riflessione. Oggi le nostre montagne sono la meta preferita di Vip e squadre di calcio, ma c’era un tempo in cui erano vissute solo da persone invisibili, che non hanno mai avuto menzione sui giornali o negli eventi importanti, perché erano pastori, contadini, lavandaie, boscaioli.

Poi, nel dopoguerra, l’arrivo dei primi turisti ha modificato i paradigmi. Certo erano altri tempi. I primi alberghi erano ricavati dalle stalle, e la prima cosa che chiedevano i villeggianti non era la password del wi-fi ma “da dove viene quest’odore?”. Erano anni di povertà, e quando i turisti finivano la vacanza si portavano a casa di tutto: saponette, asciugamani, posate, comodini, letti.. Infatti si diceva “hanno lasciato l’albergo” eh, almen quello. Naturalmente il servizio negli alberghi non era ricercato come oggi. I primi camerieri erano reclutati tra pastori, stallieri e maniscalchi, ma nessuno si lamentava. Tranne una volta, quando un cameriere zoppo ha portato otto piatti di minestra sempre vuoti.

Spesso il cuoco era un cugino (cuisine), che veniva ubriacato di vino (novello) e spinto in cucina a forza. Da qui l’origine del termine nouvelle-cuisine. Poi negli anni c’è stato l’upgrade e oltre a cuochi e camerieri negli alberghi sono arrivati anche gli ascensori, ma non erano molto precisi. Premevi il tasto 1 e arrivavi al terzo piano, premevi 5 e ti trovavi in canonica, premevi 3 e te finivi nell’Ades. Però era utile perché premendo 3 si liberavano un sacco di stanze.

Pensando a quella montagna, una domanda sorge spontanea. In quest’epoca di edonismo isterico dove il valore di una persona si basa sul numero di sconosciuti che spiano le sue foto (si chiamano follower ma il senso è quello), dove sappiamo tutto di chi vive dall’altra parte del mondo ma non ci accorgiamo se nostro figlio è depresso, dove fotografiamo prima di guardare e giudichiamo prima di comprendere perché viviamo di corsa; che cosa ci può insegnare la montagna con la sua immutabile staticità? Ci insegna che oggi, tornare alla natura non è più un lusso ma una necessità.

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